(16/9/2006) Gli studiosi di ecclesiologia dei secoli
futuri, e non solo essi, studieranno con particolare interesse la
relazione su “Fede
e Ragione” tenuta da Benedetto XVI presso l’università di Ratisbona
(Regensburg) allorché il romano Pontefice, non immemore dell’antico spirito
del professore di teologia Joseph Ratzinger che già aveva dialogato in modo
fecondo con il teo-con Marcello Pera sulle radici cristiane dell’Occidente,
ha esposto con un argomentare cristallino la differenza fondamentale tra il
Cristianesimo (quello autentico, non le sue deviazioni
fondamentalistico-creazioniste o positiviste di matrice protestante) e
l’islamismo: il primo fondato sulla visione di Dio come Logos, Ragione creatrice e ordinatrice dell’universo; il secondo
su una concezione del tutto arbitraria della volontà divina che legittima
l’uso della violenza per imporre la sharia.
Davanti a una esposizione così pacata imam e ayatollah non hanno perso tempo
per imbastire controrelazioni, per opporre argomenti ad argomenti: hanno
immediatamente bollato il capo della Cristianità come “ignorante”, le sue
parole come “deplorevoli”, gli hanno ordinato di presentare immediatamente le
sue scuse, e come ulteriore dimostrazione di tolleranza lo hanno invitato a
“toccarsi il collo, che presto gli verrà tagliato”. Alle parole,
naturalmente, sono subito seguiti i fatti, in questo caso il lancio di bombe
contro due chiese di Nablus e il brutale assassinio di una suora missionaria
che aveva dedicato l’intera vita ai poveri della Somalia. Tanto per
dimostrare quanto sono tolleranti, loro...
Di fronte alla prospettiva di un miliardo e
mezzo di musulmani pronti a tagliar la gola al primo cristiano che
incontrano – e non è un’esagerazione, come dimostrano anche gli omicidi di
sacerdoti avvenuti nella “tollerante” Turchia, il cui gran muftì ha
diffidato il Papa dal venire in visita nel prossimo novembre – Benedetto XVI per bocca
del neo-segretario di Stato card. Bertone ha fatto sapere di aver voluto
soltanto svolgere «alcune riflessioni sul tema del rapporto tra
religione e violenza in genere»; ha ricordato che «di fronte alla fervente
religiosità dei credenti musulmani, ha ammonito la cultura occidentale
secolarizzata perché eviti “il disprezzo di Dio e il cinismo che considera il
dileggio del sacro un diritto della libertà”»; ha affermato che «le manifestazioni di violenza non possono
attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui
essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo» e che «testimonianze dell’intimo
legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore si registrano
in tutte le grandi tradizioni religiose»; si è proclamato «vivamente
dispiaciuto che alcuni passi del Suo discorso abbiano potuto suonare come
offensivi della sensibilità dei credenti musulmani»; e, nel ribadire «il Suo
rispetto e la Sua stima» per coloro che professano l’Islam, ha auspicato una
«testimonianza comune» di cristiani e musulmani all’«unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra».
Ora, noi
dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” non
intendiamo essere più “papisti” del Papa. Ci preme solo mettere in rilievo
come sussista una palese contraddizione fra questi due atteggiamenti: da un
lato l’evidenziare la differenza, prima che storica, dottrinale che passa fra
una religione, come il Cristianesimo, che pone la relazione uomo-Dio sotto il
segno della razionalità, affermando che Dio vuole il bene e il vero, è
“fedele”, e un’altra, come l’Islam, la quale si gloria dell’assoluta
arbitrarietà e imprevedibilità del suo dio, affermando che egli non sarebbe
neppure tenuto a rivelare la verità agli uomini; dall’altro il cancellare
ogni distinzione sotto la cappa del “timor di Dio” che contrassegnerebbe
tutte le culture – tutte, s’intende, tranne l’Occidente “cinico e sprezzante
del sacro”. La verità è che molti cattolici – e tra loro anche insigni uomini
di Curia – nella loro ansia di mostrarsi attenti alla pluralità delle
culture, non lo sono abbastanza per distinguere tra il concetto di Dio “in
sé” e il concetto di Dio “per me”, e non comprendono che c’è una differenza
abissale tra l’idea che dell’«unico» Dio hanno i cristiani e quella che ne hanno
gli islamici: per gli uni Dio è il Dio di Gesù Cristo, colui che ha detto
“Rendete a Cesare quel che è di Cesare” e che ha invitato i suoi discepoli a
comprendere da loro stessi “ciò che è giusto”, un Dio che guarda alla
rettitudine dell’agire più che alla conformità al culto esteriore e che “non
fa preferenza di persone”; per gli altri Allah è un dominatore onnipotente il
quale chiede di essere temuto piuttosto che amato, e che per bocca del suo
profeta Maometto invita i suoi servi a mentire pur di sconfiggere gli
“infedeli”.
C’è dunque da
meravigliarsi che il Cristianesimo abbia saputo accogliere prontamente la
possente eredità della filosofia greca col suo primato del Logos, mentre
l’Islam, dopo aver contribuito alla riscoperta dei classici, si chiudeva al
pensiero raziocinante? Bisogna dunque ricordare che il califfo
di Cordova nel 1195 condannava al rogo
il filosofo Averroè per aver tentato di conciliare il Corano con la filosofia
aristotelica, ed essendo questi fuggito in esilio dava alle fiamme i suoi libri,
mentre Tommaso d’Aquino costruiva la sua Somma teologica – vera summa di
tutto il sapere dell’epoca – sulla concordanza tra Aristotele e Cristo, e
anzi proclamava che la filosofia era più utile della religione per il dialogo
fra culture, dal momento che “la ragione è comune a tutti gli uomini”? O che
la Bibbia è tradotta in più di cento lingue, mentre i musulmani studiano e
pubblicano il Corano solo in arabo antico perché credono che Allah lo abbia
dettato in questa lingua, come se il Dio “clemente e misericordioso” fosse monoglotta? E c’è ancora da meravigliarsi che l’Occidente
greco-romano-cristiano abbia creato la democrazia e abbia conosciuto quello
sviluppo travolgente delle arti, delle scienze e del diritto che ha portato
la sua cultura a imporsi su tutte le altre, non per la potenza delle armi, ma
per l’attrazione esercitata dalla sua superiore civiltà, mentre l’Islam – che
non possiede neppure i termini in arabo per dire “democrazia” e “televisione”
– si è espanso, finché ha potuto, solo con la violenza, per poi entrare in
una crisi plurisecolare da cui pretende ora di uscire con una nuova guerra
santa contro “ebrei e crociati”?
Noi comprendiamo
la preoccupazione pastorale del Papa per la sorte dei cristiani che vivono,
tra mille difficoltà, in terre dove l’Islam è religione di Stato o comunque
maggioritaria; ma ogni Papa dovrebbe ricordare sempre che il “gregge”
affidatogli da Cristo non è ristretto all’ovile della Chiesa di Roma o
dell’ecumene cristiano, ma comprende niente di meno che tutti i popoli della
Terra, in tutte le epoche della storia; e che la sua missione consiste nel
difendere, proprio in nome di quel Dio che ha voluto unire la propria natura
eterna a ogni carne mortale, i diritti di ogni individuo umano, che sia
cristiano o musulmano o ebreo o buddista o perfino ateo. Così come hanno
fatto i pontefici che hanno combattuto il nazifascismo e il comunismo; così
come abbiamo sempre fatto e continueremo a fare noi dell’Associazione
Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista.
Consapevoli, come siamo, che la storia del mondo è storia della lotta fra gli
adoratori del settarismo, della chiusura egoistica degli uomini in
gruppi-recinto e della discriminazione fra chi è “dentro” e chi è “fuori”, da
una parte, e quanti credono nell’uguaglianza di tutti gli uomini,
nell’apertura reciproca dei gruppi e nel meticciato biologico e culturale,
dall’altra; e che questa lotta avrà il suo termine inevitabile nella
creazione di uno Stato universale per individui universali, di un Impero
mondiale che abolirà ogni distinzione tra Giudei e Greci, tra schiavi e
liberi, tra uomini e donne, e assicurerà finalmente pace, libertà e giustizia
per tutti.
ANNUIT COEPTIS
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