(25/8/2006) I venditori di ciambelle di salvataggio stanno
facendo affari d’oro. La pubblicazione sul “Giornale” del
23 agosto di un editoriale intitolato
"La nostra civiltà
destinata alla morte", nel quale la sociologa Ida Magli accusa
In primo luogo, ogni associazione umana ha una sua
“bussola”, un insieme di princìpi e valori che ne
determinano la posizione rispetto al resto dell’umanità, ne orientano
l’agire e fungono da termine di verifica circa la
“fedeltà” o “infedeltà” del gruppo al
proprio spirito costitutivo. In questo senso
Fatta questa doverosa premessa, riteniamo che la fonte
delle divergenze fra la nostra interpretazione (o quella della Magli, a parte
le differenze stilistiche) e quella dei nostri detrattori in merito alla
posizione della Santa Sede nei rapporti con Israele e con il mondo islamico consista
soprattutto nel fatto che dalle due sponde della polemica si utilizzi la
stessa parola per indicare “cose” diverse e al limite opposte.
Detto in altri termini, se il problema è la fedeltà o meno
della Chiesa a Gesù Cristo bisogna chiedersi preliminarmente:
cos’è Gesù Cristo per i cattolici italiani, cos’è per
Come hanno fatto notare Gaspare Barbiellini Amidei ("Brescia, la carità illegale", Corriere della Sera 22/8/2006) e Gianni Baget Bozzo ("La carità sbagliata", Il Giornale 24/8/2006) a commento del barbaro assassinio di Hina Saleem (ragazza pakistana sgozzata dai maschi della sua famiglia per aver scelto di vivere all’occidentale), molti cattolici italiani hanno una concezione della carità cristiana del tutto avulsa da qualsiasi riferimento alle leggi, civili e penali, del paese in cui essa dovrebbe esplicarsi. In realtà si tratta di un atteggiamento diffuso in gran parte del Vecchio Continente, se si ricorda la durissima opposizione condotta anni or sono da alcuni prelati della Chiesa di Francia contro la decisione governativa di espulsione nei confronti di migliaia di immigrati irregolari (i cosiddetti sans-papiers), fino alla decisione di ospitare i clandestini nelle chiese. È una concezione che discende dalla riduzione romanticistica del Cristianesimo a “religione dell’amore” ad opera di autori come Dostoevskij (il principe Myskin de “L’idiota” e il mite Alioscia dei “Fratelli Karamazov” come modelli del buon cristiano) che hanno tentato di eliminare ogni riferimento dottrinale, ogni accenno al modello di uomo e di società che per 1.800 anni è stato distillato dai Libri sacri. Tutto il lavoro di generazioni di teologi e filosofi sulla distinzione tra sfera religiosa e sfera secolare, sui giusti doveri del cristiano nei confronti dell’autorità statale e sui connessi obblighi di questa verso il popolo, sulla distinzione fra guerra giusta e ingiusta, sulla liceità del tirannicidio, che pure aveva animato la meritoria opposizione alla barbarie nazifascista e al totalitarismo comunista, è stato buttato a mare in nome di un malinteso pacifismo che bolla ogni atto di forza come “violenza” e che ritiene possibile opporsi al Male con una testimonianza disarmata, dimenticando che se la difesa di se stessi può essere una facoltà rinunciabile, la difesa dei propri simili è un obbligo morale e giuridico cui non ci si può sottrarre.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, se chi ritiene che la carità/solidarietà verso gli “ultimi della terra” possa esercitarsi in spregio alla legalità, fino alla copertura e all’agevolazione di quanti commettono reati atroci, di fronte all’aggressione del terrorismo fondamentalista finanziato dagli Stati-canaglia nei confronti del popolo di Israele e di tutto l’Occidente si sente “obbligato” ad accoppiare ad una generica condanna degli attentati suicidi, una ben più emotiva reprimenda nei confronti delle rappresaglie israeliane, e a cercare di giustificare il fanatismo islamico quale espressione di una “rabbia dei poveri” verso i ricchi del pianeta (dimenticando che la maggioranza dei kamikaze sono ricchi o almeno benestanti, come del resto i rivoluzionari comunisti erano figli viziati della borghesia). È come se molti settori della Chiesa cattolica stessero mettendo in atto uno “sganciamento” del Cristianesimo dalla civiltà occidentale, nell’attesa – o forse, per alcuni, nell’auspicio – di una più o meno lontana distruzione di questa da parte dei “nuovi barbari” e di una nuova “inculturazione” di quello in popoli considerati immuni dalla corruzione del Primo Mondo. Chi pensa così non si avvede che quanto passa sotto l’espressione “civiltà occidentale” è il prodotto di quei principi di laicità, primato dell’individuo-persona, uguaglianza e libertà che discendono direttamente dall’insegnamento del Cristo e che non sono stati “inculturati” nel paganesimo, ma hanno completamente sostituito gli anti-valori pagani (primato della comunità sull’individuo, indiscutibilità del potere politico, tradizionalismo, etnicismo discriminante) costruendo letteralmente dal nulla una cultura a propria immagine e somiglianza. Al confronto l’Islam con la sua poligamia, con l’inferiorità della donna rispetto all’uomo e degli “infedeli” rispetto ai muslims, i sottomessi ad Allah e Maometto, è rimasto fermo ad un modello di vita vecchio di tremila anni che vede, giustamente, nel Cristianesimo la radice di tutto ciò che odia, libertà, uguaglianza, autorità come servizio e non come potere, democrazia; pensare che un simile compatto schema di credenze preistoriche possa accogliere l’annuncio del Vangelo, o anche solo tollerarne la presenza accanto a sé, è peccare di criminale ingenuità.
La risposta che va data alla domanda del titolo, «
In conclusione, quel che noi, i fedeli cristiani, e
probabilmente anche
ANNUIT COEPTIS
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