Se le vittime sono sempre colpevoli e i carnefici sempre innocenti
Ogni volta che i terroristi fanno qualche strage in Occidente, i
sessantottini non ce la fanno proprio a condannare i terroristi senza
qualche “ma”, “se”, “però”
Caro
direttore, dall’11 settembre 2001 al 2 dicembre 2015 si sono
verificati una serie di fatti molto importanti inerenti al rapporto fra
civiltà occidentale e civiltà islamica. Dall’11 settembre 2001 al
2 dicembre 2015 i media non hanno descritto i fatti ma hanno accumulato,
una sopra l’altra, innumerevoli interpretazioni dei fatti. Lo strato
delle interpretazioni sovrapposte è ormai talmente spesso che i fatti ne
sono occultati. Le più diffuse sono due: una in chiave marxista e una in
chiave anti-Huntington. A questo punto quello che bisogna fare non è
aggiungere un’altra interpretazione, presumibilmente migliore, ma
confutare queste interpretazioni alla luce dei fatti stessi che esse
occultano. Oggi
questi sessantottini, che hanno superato da un pezzo la sessantina,
non riescono a provare molta antipatia per i terroristi, dal momento che
i terroristi combattono contro gli Usa. Quindi cercano di minimizzare le
colpe dei terroristi islamici, descrivendoli come “vittime”
dell’imperialismo occidentale. E il bello è che poi gli stessi ti dicono
anche che Al Qaeda e l’Isis sarebbero stati creati e finanziati dagli
Usa. Quindi, nella visione vetero-marxista i terroristi religiosi da una
parte combatterebbero contro il fantomatico “imperialismo” degli Usa e
dall’altra sarebbero stati creati proprio dagli Usa… La logica
elementare non sembra davvero essere il loro forte.
Contemporaneamente, proprio all’interno dei paesi occidentali, gli
autoctoni sfrutterebbero economicamente ed emarginerebbero socialmente
gli immigrati musulmani. Stanchi di essere maltrattati dentro e fuori i
loro paesi, alcuni islamici sceglierebbero dunque la strada della
rivolta armata. Anche se dicono e credono di avere obiettivi religiosi,
in realtà i terroristi avrebbero solo obiettivi squisitamente
politico-economici: liberare i popoli musulmani dall’oppressione
occidentale. Di conseguenza,
queste ultime farebbero bene a subire in silenzio sia perché, in fondo,
se lo meriterebbero sia perché se provassero a reagire, innescherebbero
la “spirale delle violenze”: «Se alla violenza del loro attacco alle
Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza –
ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne
seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra
nostra e così via. Perché non fermarsi prima?» (Tiziano Terzani, San
Francesco e il sultano, Corriere della sera, 7 ottobre 2001). Come se
non bastasse, gli occidentali “sfruttatori” regalano agli
immigrati in difficoltà case popolari e sussidi di ogni sorta (gli
stessi europei autoctoni di cui sopra darebbero l’altro rene per avere
una casa popolare nelle “squallide” banlieues parigine).
Rimasti orfani in tenera età, i fratelli franco-algerini Said e Chérif
Kouachi, autori della strage alla redazione del Charlie Hebdo, erano
cresciuti in una casa famiglia pagata dai contribuenti. Anche molti
jihadisti hanno imparato a campare
alle spalle dei contribuenti “infedeli”. Lo Stato svedese assiste
dalla culla alla tomba gli immigrati musulmani, che per ringraziare
mettono a ferro e fuoco le periferie svedesi a scadenze regolari.
Invece, i capi terroristi non hanno bisogno né di lavorare né di
percepire sussidi, perché sono schifosamente ricchi di loro. Gli Usa e i
loro alleati avevano un solo obiettivo e l’hanno pure raggiunto:
rovesciare dei regimi dittatoriali che sembravano collusi (e forse in
parte lo erano veramente) con le organizzazioni terroriste. Adesso
sappiamo bene che i registi occulti del terrorismo bisogna cercarli
altrove (nella penisola arabica) e che i regimi che sono stati
rovesciati erano largamente preferibili ai regimi terroristi che ne
hanno preso il posto. Non sembra
probabile che, se domani mattina gli eserciti occidentali intervenissero
in Siria, dopodomani si moltiplicherebbero gli attentati nei paesi
occidentali. Secondo la logica elementare, quanto più diminuisce il
numero dei terroristi, tanto più diminuisce il numero degli attentati. La
visione dello storico americano, morto nel 2008, non si accorda
con la visione marxista. In breve, secondo Marx la cultura e la
religione di un popolo sarebbero solo “sovrastruttura” della “struttura”
economico-sociale della loro società. Paragonando il popolo ad un solo
uomo, ebbene nell’ottica marxista tutti i pensieri e i desideri di un
uomo sarebbero solo una rappresentazione simbolica e allegorica
dall’andamento della sua digestione e il fine ultimo di tutte le sue
scelte e tutte le sue azioni sarebbe quello di soddisfare lo stomaco. Egli avvertiva
che, dopo la fine della guerra fredda, allo scontro fra blocco sovietico
(portatore dell’ideologia comunista) e blocco americano (portatore
dall’ideologia liberal-capitalista) sarebbe subentrato lo scontro fra
civiltà occidentale (portatrice di valori che, direttamente o
indirettamente, discendono dal cristianesimo) e le altre civiltà, in
particolare la civiltà islamica. Cosa ancora più importante, se Huntington avesse ragione, ci aspetterebbe un futuro pieno di lacrime e sangue. Spaventati a morte, tutti gli intellettuali e tutti i giornalisti fanno dunque a gara per dare torto al professore americano e per zittire chiunque osi soltanto nominare l’espressione “scontro di civiltà”. Insomma,
essi sembrano pensare che basti parlare di “scontro di civiltà” per
renderlo reale (“profezia che si autorealizza”) e che viceversa basti
non parlarne per scongiurarlo. Vorrei chiedere loro se, per non
prendersi il cancro, sia sufficiente dimenticarsi che il cancro esiste e
mettere a tacere gli oncologi. Se proprio devono parlare dei crimini contro le donne compiuti da immigrati musulmani, intellettuali e giornalisti si preoccupano sempre di aggiungere che anche gli uomini europei violentano, picchiano e uccidono le donne (la propaganda sul “femminicidio” funziona a pieno regime). E se proprio devono parlare di attentati compiuti da terroristi che si professano apertamente islamici, cercano di rimuovere l’aggettivo “islamici”. “I terroristi non hanno religione”, dicono. Oltre a
togliere loro l’aggettivo “islamici”, tolgono la colpa dalle loro spalle
e la mettono sule spalle della società occidentale: “È colpa del
governo, che non ha saputo varare delle efficaci politiche per
l’integrazione, ed è colpa di tutti quelli che amano troppo l’identità
occidentale e criticano troppo i musulmani”. Quindi il terrorismo sarebbe un prodotto delle critiche al terrorismo stesso… Vabbé. Secondo loro, inoltre, la nostra identità culturale e religiosa farebbe paura agli immigrati islamici, che per reazione cercherebbero rifugio nel fondamentalismo e nel terrorismo. Se ne deduce
che, dal loro punto di vista, per farci amare dai musulmani dovremmo
odiare noi stessi e sciogliere la nostra identità nell’acido del
nichilismo multiculturale (perché multiculturalismo è sinonimo di
nichilismo: se tutte le culture hanno lo stesso valore, quel valore è
uguale a zero). In altri termini, per impedire alla profezia dello
“scontro di civiltà” di “autorealizzarsi”, dovremmo annullare la nostra
civiltà. Infatti, non ci si può scontrare contro il nulla. Con la stessa
contorta logica, per non essere uccisi bisogna suicidarsi. Le
manifestazioni degli islamici “moderati” che si sono svolte all’indomani
del 13 novembre sono state tutto fuorché oceaniche: a Parigi hanno
manifestato in trenta, in Italia hanno manifestato meno di mille, di cui
la metà non musulmani. Per il resto, abbiamo saputo che delle
studentesse marocchine sono uscite dalla loro classe durante il minuto
di silenzio dedicato alle vittime di Parigi, che migliaia di spettatori
turchi in uno stadio turco hanno fischiato durante il minuto di silenzio
dedicato alle vittime di Parigi , che i detenuti islamici di un carcere
di Cosenza hanno festeggiato la buona riuscita degli attentati di
Parigi, che un brano di musica dance dal titolo “Allahu Akbar” ha
cominciato a scalare le classifiche dopo il 13 novembre, che infine,
secondo un sondaggio mostrato da Vespa a “Porta a porta”, il 20% dei
musulmani d’Italia non condanna gli attentati di Parigi, mentre secondo
un sondaggio condotto da Al Jazeera, l’80% degli arabi sta dalla parte
dell’Isis. Sappiamo di musulmani “integrati” che sposano impunemente più donne, che le picchiano e le segregano, che infibulano le figlie, che le costringono a sposare chi non vogliono, che le sgozzano se si innamorano di qualche “infedele”. Sappiamo di interi quartieri di città europee in cui vige ufficialmente la sharia (gli autoctoni occidentali non possono entrare se non a loro rischio e pericolo). Per quanto riguarda la violenza sulle donne, intellettuali e giornalisti si dimenticano sempre di specificare primo che gli episodi di violenza sulle donne che avvengono fra poche decine di migliaia di immigrati musulmani sono molto più numerosi degli analoghi episodi che avvengono fra milioni di italiani autoctoni e, secondo, che gli italiani, quando fanno violenza sule donne, infrangono le leggi italiane mentre gli uomini di religione musulmana, quando fanno violenza sulle donne, non si sa bene se infrangono le loro leggi. Possiamo
inventare e sperimentare, una dopo l’altra, tutte le possibili e
immaginabili “politiche per l’integrazione” ma saranno sempre tutte
inefficaci. La verità è che è impossibile per definizione integrare chi
non vuole integrarsi. Prendiamo il paese che in questi giorni è sotto i riflettori: il Belgio. Alcuni dei terroristi del 13 novembre provenivano da Molenbeek: un quartiere di Bruxelles che è ormai un piccolo fortino islamico dentro lo stato belga. Ironia della sorte, a novembre è uscito un curioso film, che a quanto pare è molto rappresentativo della cultura dominante in Belgio oggi: Dio esiste e vive a Bruxelles (Jaco Van Dormael, Lussemburgo, Francia, Belgio 2015). Un critico ha
detto che è un film «garbatamente blasfemo». Mentre i belgi autoctoni si
divertono ad irridere “con garbo” il Dio uno e trino, i credenti nel Dio
unico si prendono le loro città. Lo spazio lasciato vuoto dalla nostra
identità, dai nostri valori e dalla nostra cultura è destinato ad essere
riempito dall’identità, dai valori e dalla cultura di qualcun altro. Queste due interpretazioni si basano su una visione ideologica (già denunciata da Alain Finkielkraut nello scorso decennio) secondo cui gli occidentali “agiscono” mentre i non occidentali “reagiscono”. Se assumiamo che loro “reagiscono”, cercheremo di tenerli buoni agendo il meno possibile o non agendo affatto. Infatti, secondo tutti gli intellettuali e tutti i giornalisti (con l’esclusione di pochi “islamofobi”) quello che gli Usa avrebbero dovuto fare in Afghanistan e in Iraq all’indomani dell’11 settembre è niente di niente e quello che noi cittadini dovremmo fare nei confronti degli immigrati musulmani è tutto di tutto ossia soddisfare prontamente ogni loro bisogno e ogni loro desiderio. D’altra parte,
i musulmani “integrati” che partecipano ai talk-show hanno
imparato che, per ottenere tutto quello che vogliono, devono ripetere
gli argomenti che leggono su Repubblica: “Alcuni musulmani diventano
terroristi per colpa dei crociati, che hanno aggredito i paesi islamici
nel Medio Evo, per colpa delle nazioni europee, che hanno colonizzato le
nazioni musulmane nel XIX secolo, per colpa degli americani, che oggi
bombardano i paesi musulmani, e per colpa degli xenofobi, che emarginano
i giovani musulmani e li costringono a vivere in periferie-ghetto, per
colpa dei leghisti, che in Italia non ci fanno aprire tutte le moschee
che vogliamo e ci offendono con i loro crocifissi e i loro presepi”. Non è vero che
il successo del fondamentalismo islamico è conseguenza della
“islamofobia” degli occidentali (casomai è l’islamofobia ad essere una
conseguenza del successo del fondamentalismo). «Noi non abbiamo generato
questo mostro con le nostre politiche neocoloniali. Non stiamo pagando
per i nostri crimini. (…) La jihad non è contraccolpo, bensì progetto di
conquista. L’Occidente deve liberarsi della convinzione megalomane di
dettare sempre lui le danze» (Alain Finkielkraut su Repubblica del
22 novembre 2015). Un nemico spietato vuole distruggere noi e la nostra civiltà. Per quanto tempo ancora dovremo parlare di islamofobia, emarginazione sociale, crociate, colonialismo, neocolonialismo e pozzi di petrolio prima di cominciare ad affrontarlo seriamente? Le comunità islamiche presenti nelle nostre nazioni non condannano con troppa convinzione il terrorismo e dal loro interno continuano a uscire sempre nuovi terroristi presunti “isolati”. Quando cominceremo a trattare gli immigrati musulmani come adulti responsabili? Quando cominceremo a chiedere loro di rendere conto di tutto quello che fanno in parole, opere, ed omissioni? Sono loro che devono integrarsi, non noi che li dobbiamo integrare. Sono loro che devono condannare il terrorismo e stanare, uno per uno, i fanatici che si annidano nelle loro comunità. Sono loro che devono agire. |