IL COMMENTO DI UN ESULE CUBANO ALLA VISITA DEL
PAPA
Il commento, aspro e appassionato, è apparso il 24 settembre su
"First Things", la testata degli Stati Uniti che si presenta come "America's
most influential journal of religion and public life".
L'autore, Carlos Eire, è T.L. Riggs Professor of Catholic Studies alla
Yale University.
Questa che segue è la sua traduzione in italiano.
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QUANDO FRANCESCO VENNE A CUBA
di Carlos Eire
Ogni volta che il papa decide di mescolarsi ai peccatori dovremmo
rallegrarci. Lo faceva Gesù e, quindi, si suppone debba farlo anche il
suo vicario sulla terra. Il male e il peccato vanno affrontati, non
ignorati. E gli iniqui vanno esortati al pentimento e a correggersi.
Purtroppo c’è poco da rallegrarsi del fatto che papa Francesco si sia
mescolato ai fratelli Castro e ad altri capi di Stato dell’America
latina che fanno a gara nell'esaltare il loro regime dittatoriale. Papa
Francesco sembra fin troppo a suo agio con i dittatori latinoamericani e
i loro simboli di repressione.
Alcuni mesi fa, quando ha visitato l’Ecuador e la Bolivia, papa
Francesco ha incontrato i presidenti Rafael Correa ed Evo Morales,
discepoli dichiarati dei fratelli Castro con aspirazioni tiranniche,
astenendosi dal fare qualsivoglia riferimento alle loro violazioni dei
diritti umani. Egli ha anche ricevuto con un sorriso un crocifisso
blasfemo su falce e martello. E se quel crocifisso avesse invece avuto
la forma di una svastica?
Quell’incidente è stato solo un assaggio di ciò che poi è successo a
Cuba, quando il papa si è fatto vedere sempre sorridente dinanzi a
tiranni con le mani sporche di sangue, senza parlare apertamente della
violazione dei diritti umani sull’isola, né biasimare la crudeltà dei
padroni di casa. Papa Francesco non ha neanche incontrato qualcuno dei
dissidenti cubani non violenti, nonostante le pressanti richieste per un
colloquio pervenutegli da costoro. Più che "opzione preferenziale per i
poveri", questa sembra un opzione preferenziale per gli oppressori.
Il cardinale dell’Avana Jaime Ortega y Alamino ha spiegato questo
approccio dicendo che la Chiesa cattolica di Cuba doveva evitare "prese
di posizione politiche di parte". Si tratta dello stesso principe della
Chiesa che ha a suo tempo auspicato l’arresto dei dissidenti che
chiedevano asilo nelle sue chiese e che, nell’aprile del 2012, parlando
all’università di Harvard, ha schernito quei cubani perseguitati
chiamandoli "ex delinquenti", "persone con disturbi psicologici" e "di
nessun livello culturale". Nonostante i suoi svariati appelli alla
"riconciliazione", per riferirsi agli esuli cubani Ortega ha utilizzato
il vocabolo "gusanos", cioè vermi, l’epiteto tutt’altro che cristiano
con il quale il regime castrista bolla tutti i suoi oppositori da oltre
mezzo secolo.
Il seguito papale aveva avuto un ripensamento all’ultimo momento,
cedendo alla richiesta dei dissidenti cubani e concedendo loro un
incontro. L’esito è stato, com’era prevedibile, disastroso. Alcuni
sostenitori della democrazia erano stati inaspettatamente invitati a
incontrare papa Francesco presso la nunziatura apostolica dell’Avana, ma
sono stati tutti arrestati nel momento in cui uscivano di casa. In più,
molti altri dissidenti non violenti sono stati bloccati o posti agli
arresti domiciliari, per evitare che partecipassero alla messa celebrata
in piazza dal Pontefice.
Allo stesso tempo, il regime ha predisposto una serie di autobus per
convogliare simpatizzanti attentamente selezionati alle messe del papa,
in modo da assicurare la presenza di un numero sufficientemente alto di
cubani politicamente corretti. La cosa peggiore di tutte è che il
processo di selezione è avvenuto parrocchia per parrocchia con l’avallo
della Chiesa cattolica cubana e dei suoi vescovi.
Quando quattro dissidenti hanno provato ad avvicinarsi a papa Francesco,
nonostante gli sforzi compiuti dallo Stato e dalla Chiesa di tenerli a
debita distanza, agenti in borghese li hanno fermati e condotti in
prigione. Forse che il papa ha denunciato queste ingiustizie, certamente
descrivibili come persecuzione religiosa? Ha denunciato la connivenza
dei suoi vescovi riguardo questa persecuzione in atto? No. Neanche una
parola. Il suo silenzio è assordante.
Il tema principale dell’omelia domenicale del Santo Padre è stato la
cura delle persone più fragili della società, e avrebbe potuto essere
pronunciata in qualunque altra parte della terra. Il suo discorso è
stato pieno di buoni sentimenti, ma ben poco riguardava espressamente
Cuba, e proprio nulla l’oppressione, la fragilità e la povertà del
popolo cubano. Il testo pronunciato non ha fatto per nulla sfoggio delle
affilate sottigliezze notoriamente predilette dall’ordine dei gesuiti,
cui il papa appartiene. O forse le allusioni erano così riposte che solo
qualcuno in possesso di un dottorato in teologia, retorica o scienze
politiche poteva cogliere in esso un qualunque tipo di accenno alle
ingiustizie.
Come "Newsweek" ha osservato, nella sua omelia di 17 anni fa, Giovanni
Paolo II pronunciò i vocaboli "giustizia" e "libertà" rispettivamente 12
e 13 volte. Tutto ciò che Francesco ha detto dei cubani è che sono "un
popolo che ha delle ferite, come ogni altro popolo". In altre parole,
Francesco ha detto ai cubani che, dopo 56 anni di oppressione politica
ed economica, non stanno peggio di qualunque altre popolo sulla terra;
quindi, a causa di quel particolare tipo di oppressione, non hanno
ragione di lamentarsi. Ciò che più si avvicina a un biasimo per il
regime di Castro o un appello alla fine della schiavitù per il popolo
cubano è quando ha detto: "Non si servono le ideologie ma le persone".
Ironicamente, il dittatore Raúl Castro, all’aeroporto, ha dato il
benvenuto a papa Francesco con un lungo discorso che, più che con la sua
visita, aveva a che fare con l’esaltazione di un’ideologia fallita che
ha fatto di Cuba una delle nazioni più povere e più oppressive della
terra. "Preservare il socialismo significa garantire l’indipendenza, la
sovranità, lo sviluppo e il benessere della nazione", ha detto il
dittatore Raúl.
Nel suo prolisso intervento, Raúl Castro ha inanellato tutta una serie
di bugie che né il papa né nessun altro in Vaticano ha contestato.
Ringalluzzito dall’evidente beneplacito del papa al suo regime come si è
manifestato nell’incontro avvenuto a Roma questa primavera,
l’ottuagenario dittatore ha millantato: "Abbiamo fondato una società con
al centro l’equità e la giustizia sociale, con ampio accesso alla
cultura e legata ai valori e alle idee più avanzate di Cuba,
dell’America latina, dei Caraibi e del mondo".
Come se non fosse stato già abbastanza sfrontato, Raúl Castro,
incontestato "presidente" non eletto, ha anche sostenuto di essere
impegnato nella costruzione di «un socialismo prospero e sostenibile,
concentrandoci sull’essere umano, la famiglia e la partecipazione
libera, consapevole e creativa di tutta la società".
Belle cose da dire! Soprattutto se a pronunciarle è qualcuno che ha la
responsabilità di aver costretto all’esilio il 20 per cento della
popolazione del suo Paese, di aver separato milioni di famiglie, di aver
soffocato ogni tipo di dissenso e aver impedito l’accesso a fonti
esterne d’informazione. Su quelle bugie il Santo Padre non avuto niente
da dire. Né allora, né dopo.
È sgradevole che, però, qualcosa da dire agli oppressori il papa l’abbia
avuto, e si è trattato di qualcosa di carino. Secondo quanto riporta "Granma",
il principale organo di stampa del regime, in un incontro privato
Francesco "ha ringraziato il compagno Fidel Castro per il suo contributo
alla pace mondiale, in un mondo pieno di odio e di aggressività". Se la
notizia fosse vera, Francesco ha trascurato la storia di un governo che,
con continuità, ha fatto ricorso alla violenza, uno dei pochi che si può
vantare di aver condotto il mondo sull’orlo di una catastrofe nucleare e
l’unico, in America Latina, ad aver mandato truppe in tre continenti, ad
aver sponsorizzato guerra e terrorismo in tutto il globo e ad aver più
volte auspicato l’annientamento di Israele.
Come deve reagire un cattolico a tutto ciò? Perché il papa ha deciso di
schierarsi con gli oppressori invece che con gli oppressi?
Dio solo lo sa. Forse vuole accattivarsi le simpatie del regime
castrista in modo da evitare alla Chiesa cattolica la persecuzione cui
sono andate incontro le Chiese protestanti dell’isola? Forse perché
ritiene che la maggior parte dei papi che hanno scelto la linea della
fermezza con governanti laicisti hanno finito col perdere troppo? Forse
perché sta assumendo l’approccio cauto che i gesuiti scelsero nella Cina
del secolo XVII? Forse perché la Chiesa ragiona secondo prospettive di
decenni, secoli e millenni, anziché di giorni, mesi e anni? O forse
perché al papa piace quello che vede a Cuba e ammira sinceramente i suoi
attuali governanti non eletti? In fondo, i suoi pensieri riposti sono
irrilevanti. Ciò che veramente conta è che il suo sorridente silenzio e
la sua giovialità dinanzi a spietati dittatori è quanto mai
sconcertante.
Papa Francesco non è precisamente di quelli che non si pronunciano su
temi sociali, politici ed economici. Quando pensa che qualcosa sia
sbagliato, fa in modo che il mondo lo sappia. Ha agito così pubblicando
l’enciclica "Laudato si’", nella quale loda l’ambientalismo e scortica
il consumismo materialista. Solo pochi mesi fa, in Bolivia ha parlato
dell’"ambizione sfrenata di denaro che domina", definendola nientedimeno
"sterco del diavolo". E allora perché si è trattenuto dal chiamare
"sterco del diavolo" il regime dei Castro e altri analoghi falliti
esperimenti del materialismo totalitario comunista? Il materialismo
comunista è quindi meno infernale? L’oppressione politica ed economica
di stampo comunista è meno censurabile? Perché non ha invitato Raúl e
Fidel Castro a pentirsi? Perché, al contrario, li ha lodati?
A noi piacerebbe sapere il perché.
Ma chi siamo "noi", e come ci permettiamo di essere così impertinenti,
potreste chiedervi.
Ecco chi siamo "noi": siamo quelli che il regime di Castro ha
ingiustamente maltrattato; siamo quelli che hanno visto la nostra
nazione andare in rovina; quelli che hanno avuto familiari torturati e
uccisi; che hanno visto le proprie famiglie lacerate dalle
incarcerazioni e dall’esilio; che si sono visti negare il diritto di
libera espressione; che sono stati soggetti a un indottrinamento
ateistico e cui è stato negato il diritto di culto. In breve, "noi"
siamo quelli che, per esperienza diretta, sanno che a Cuba si vive da
schiavi.
Potremmo fornire una lista assai più lunga delle ingiustizie perpetrate
negli ultimi cinquant’anni, ma a che servirebbe? Tutto ciò che possiamo
fare, noi cattolici cubani, è prendere atto del fatto che il primo papa,
san Pietro, ha fatto molti – ma davvero molti – errori, e che nessuno
dei suoi successori è stato infallibile in tema di politica. E noi
possiamo trarre conforto dalla preghiera, in comunione con le
innumerevoli moltitudini di cristiani che si sono succedute dal primo
secolo a oggi: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis".
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. |