Resa dei conti nel Golfo Persicodi Farian Sabahi - Sole24Ore 16/3/2011Scoraggiati dalla velocità con cui Washington ha scaricato l'alleato egiziano Mubarak, i sauditi inviano un migliaio di soldati a Manama, la capitale del Bahrein, per aiutare la dinastia regnante, bersaglio delle proteste dopo oltre duecento anni al potere. L'arrivo dei carri armati sauditi in piazza delle Perle è in contrasto con l'amministrazione Obama, che invita le autorità a dialogare con l'opposizione e a Manama mantiene la base della Quinta flotta.
Sebbene sia solo un piccolo
arcipelago, il Bahrein è il
banco di prova della stabilità
del Golfo Persico perché - in
assenza di un governo forte in
Iraq - qui si scontrano gli
interessi sauditi e iraniani. E
si rischia l'effetto domino:
governato dalla dinastia
corrotta degli al-Khalifa, il
Bahrein è collegato all'Arabia
Saudita da una superstrada sul
mare e Riyadh teme il contagio
nella propria provincia
nordorientale, dove si concentra
il 10% della produzione mondiale
di greggio e vive - perseguitata
- una minoranza sciita che
sarebbe rinvigorita da una
vittoria dell'opposizione in
Bahrein. Pur senza il sostegno di una potenza regionale, gli abitanti del Bahrein sembrano comunque decisi a ottenere riforme. Le proteste, che hanno già portato all'annullamento della prima tappa del mondiale di Formula 1, non sono da sottovalutare: fin dagli anni 30, Manama è animata da una tradizione di attivismo, anche sindacale; il clero liberale milita tra le fila della società civile e la scena politica è ben più movimentata che nel resto del Golfo. La leadership saudita è consapevole del potenziale pericolo e per questo invia rinforzi agli al-Khalifa attraverso la King Fahd causeway, la superstrada sopraelevata lunga 26 chilometri che collega l'isola principale alle coste saudite: è stata costruita nel 1981 per motivi strategici, ma favorisce il turismo sessuale dei sauditi che godono della maggior liberalità dei costumi nell'isola, dove si possono bere alcolici e le donne indossano di tutto, dal velo integrale alla minigonna.
Fino al completamento dei lavori
nel 1986, durante le processioni
sciite di Ashura, il cielo di
Manama si rannuvolava per la
presenza degli elicotteri
militari sauditi, segno che
Riyadh ha sempre temuto
l'irrequietezza del vicino
Bahrein. Il Golfo non sarà però
risparmiato dall'ondata di
ribellione solo in virtù del
relativo benessere: a Manama il
re ha elargito subito quasi
duemila euro a famiglia, ma non
ha schivato le proteste perché
la rivolta ha ormai assunto una
dimensione transnazionale e la
rabbia si mischia all'orgoglio
per i risultati raggiunti da
tunisini ed egiziani, sfidando
il paternalismo dei leader.
Indipendente dal 1971 (era
protettorato britannico), Manama
è un centro bancario ma
l'economia è fragile, la
disoccupazione giovanile sfiora
il 20% eppure s'importa
manodopera: filippini, cingalesi
e bangladeshi per la
manovalanza; giordani, siriani,
yemeniti e pachistani di etnia
baluci tra le fila della
sicurezza che spara sui
dimostranti. Questi stranieri,
spesso sunniti chiamati per fare
da contrappeso alla maggioranza
sciita, hanno acquisito il
passaporto del Bahrein e ora i
dimostranti esigono che tornino
ad essere cittadini dei soli
paesi di provenienza. A differenza di Tripoli, a Manama la Quinta flotta statunitense complica lo scenario, giacché stanziata in prossimità di un'area suburbana sciita a pochi minuti di auto dalla piazza delle Perle. Se l'Occidente starà a guardare, sarà ancora una volta complice dei dittatori arabi. E, paradossalmente, a sfruttare la situazione potrebbe essere l'Iran: di fronte alla propaganda dei salafiti, che considerano eretici gli sciiti, i pasdaran di Teheran potrebbero sfruttare a loro favore un movimento locale, che al momento non ha nulla da spartire con la Repubblica islamica. |