Il Parlamento deve
bloccare la via giudiziaria
all’eutanasia
Di Redazione - Giornale 5/3/2011
La legge sul fine vita
in discussione alla Camera è
un argine al tentativo delle
toghe di decidere pure sulla
morte. Nessuno può imporre
ai medici di non salvare i
pazienti
La legge sul fine vita in discussione alla Camera è oggetto di critiche da parte dei pro-life e dei pro-choice. Potrebbe avere ragione Giuliano Ferrara quando scrive che essa è irrimediabilmente sbagliata. Vorrei godere della libertà di poter sostenere la mia preferenza per nessuna legge, visto il rischio di esporre tutti noi al dispotismo etico dello Stato o all’impossibilità di regole. Il nostro Stato però, non si fonda sulla Common law e tra quelli a Civil law soffre da decenni della pretesa normativa del giudice, che sempre di più si erge a legislatore in base a personali convinzioni politiche ed ideologiche. Sembra essere opinione comune che la discussione di una legge sul fine vita sia nata dal potere della medicina di «rianimare i morti», una condizione sconosciuta in passato e che ci impone di trovare la via per rispettare il diritto della persona a non avvalersi di cure o terapie anche in una condizione di incapacità di intendere e di volere.
In realtà la medicina ha
sempre risolto il dilemma
tra cure e volontà,
presumendo l’attaccamento
alla vita. Se si giunge in
un pronto soccorso in stato
di incoscienza nessuno si
interroga sul da farsi: si
interviene. Anche nel caso
si trovi nell’incapacità di
intendere o di volere, il
medico mette in atto i
presidi terapeutici per
evitare la morte. Salvo i
casi in cui le terapie siano
non proporzionate, non
efficaci o non adeguate alle
condizioni cliniche del
paziente, cioè quando
intervenire si
configurerebbe come
accanimento terapeutico. Il
che non è così infrequente.
Il lavoro del Parlamento per scrivere una legge sul consenso informato ai trattamenti sanitari e i limiti di eventuali dichiarazioni anticipate in tema di terapie ha avuto origine nei tribunali. Non ci sarebbe stata ragione di porre mano a una legge se non ci fosse stata un’offensiva per costruire la «via giudiziaria» alla legalizzazione dell’eutanasia.
Su questo è stata
sacrificata Eluana
Englaro ed è in
questa direzione che
guardano i giacobini che
inneggiano alla supremazia
della Corte Costituzionale e
affermano che l’articolo 32
della Costituzione («Nessuno
può essere obbligato a un
determinato trattamento
sanitario») rappresenta un
nuovo Habeas corpus
in linea con l’affermazione
di uno dei padri del
pensiero liberale, John
Stuart Mill, secondo cui lo
Stato deve riconoscere a
ciascuno la «sovranità su di
sé e sul proprio corpo».
Peccato che quando
Stuart Mill scriveva, non
pensava alle cure, ma
all’espressione latina
Habeas corpus ad
subjiciendum, («che tu
abbia la disposizione del
tuo corpo, della tua
persona») in nome del
diritto dell’inviolabilità
della libertà contro le
detenzioni illegali disposte
dallo Stato. Un tema su cui
i giacobini della
Costituzione non appaiono
così sensibili.
Il punto più controverso
della legge è la
indisponibilità di
alimentazione e idratazione
nelle dichiarazioni
anticipate di trattamento.
Se si è in condizione di
intendere o di volere ci si
può lasciare morire. Ma se
si è affidati alle cure di
un medico, nessuno può
imporre al medico di non
somministrare cibo e acqua
nei modi possibili.
Secondo alcuni questo
annullerebbe la volontà
della persona, che la
dichiarazione anticipata
vorrebbe preservare anche
attraverso l’indicazione di
un fiduciario. In realtà la
dichiarazione anticipata di
trattamento non può che
essere, come dice la legge,
un orientamento nei
confronti del medico.
Perché a privare la
persona della volontà non è
la legge, ma la natura o
l’accidente, di cui la legge
non può che prendere atto. E
le dichiarazioni anticipate
di trattamento non sono che
una parvenza della volontà
della persona, perché esse
si esprimono in modo
generale in relazione a
situazioni eventuali. Mentre
la volontà è specifica,
circostanziata e concreta in
una situazione patologica.
Confondere i due piani è
un errore di metodo. Perché
dunque questa legge va
approvata? Perché essa
rappresenta un argine al
tentativo di imporre un
dispotismo giudiziario anche
sulla vita e sulla morte.
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