Le rivoluzioni che
l'Occidente non ha capito
Kurt Volker* - Stampa 26/2/2011
Una delle grandi sfide delle
analisi nel lavoro di
intelligence è la previsione dei
grandi cambiamenti. L’analisi
più sicura è quasi sempre che le
forze che hanno plasmato le cose
fino a oggi continueranno. Il
mantenimento dello status quo è
dunque il risultato più
probabile - almeno fino al
momento in cui lo status quo
scompare. Il trucco sta nel capire quando è in corso un grande cambiamento e quando è business as usual. Questo è proprio il punto su cui l’Occidente ha costantemente sbagliato riguardo alle rivoluzioni che stanno esplodendo in Medio Oriente. Prima c’è stata la Tunisia, dove la maggior parte degli osservatori riteneva che le manifestazioni non potessero rovesciare un dittatore. Poi c’è stata la presunta unicità della Tunisia, la maggior parte degli osservatori non credeva possibile che il cambio di regime lì potesse significare un cambio di regime altrove. In Egitto, la maggior parte degli osservatori non credeva che le proteste potessero davvero far cadere Mubarak. La maggior parte degli osservatori non credeva che in Libia, con un regime pronto a usare la forza bruta, il cambiamento fosse possibile. Ogni volta abbiamo sbagliato l’analisi. Ogni volta siamo stati lenti nel parlare, lenti nel sostenere il cambiamento, lenti nell’agire. Quelli che sono stati disposti a rischiare la vita per la propria libertà in Medio Oriente possono essere perdonati se pensano che gli Stati Uniti e l’Occidente siano stati contro di loro. Perché abbiamo sbagliato?
Primo per la convinzione che i
regimi alla fine avrebbero
prevalso - e allora perché
bruciare i ponti? In secondo
luogo, soprattutto in Europa,
per la paura che ogni
cambiamento porti a massicci
esodi di rifugiati e flussi
migratori. Terzo, per il timore
che gli estremisti islamici si
impadroniscano delle rivoluzioni
e impongano un regime peggiore
di quello precedente. Quarto,
per la preoccupazione che i
nuovi regimi potrebbero non
onorare gli accordi esistenti
con Israele. Quinto per il
paternalistico luogo comune che
ritiene gli arabi non ancora
pronti per la democrazia. E
sesto e ultimo punto - forse il
più significativo - perché i
governi occidentali
semplicemente non capiscono che
questa è una rivoluzione basata
sui valori umani e su ideali di
trasformazione. *Ex ambasciatore americano alla Nato, è senior fellow e direttore del Centro per le relazioni transatlantiche presso la Johns Hopkins University School of Advanced International Studies e consulente senior presso McLarty Associates. (Traduzione di Carla Reschia) |