Quando la lite diventa sentenza di morte
Intervista all’avvocato che difende i cristiani in Pakistan
Diverse ONG nel
mondo prestano
il loro servizio
di assistenza ai
cristiani in
Pakistan che
sono vittime
della normativa
antiblasfemia o
del generale
clima di
discriminazione.
L’American
Center for Law
and Justice è
una di queste
organizzazioni.
Shaheryar Gill,
avvocato
pakistano, che
ha studiato
negli Stati
Uniti e in Korea,
è consigliere
associato di
questo Centro.
In questa
intervista
rilasciata al
programma
televisivo
“Where God Weeps”,
realizzato da
Catholic Radio
and Television
Network (CRTN),
in
collaborazione
con Aiuto alla
Chiesa che
soffre, Gill dà
uno sguardo, da
addetto ai
lavori, alle
leggi
antiblasfemia e
spiega i motivi
di speranza per
il Pakistan.
Ci può
raccontare
qualcosa di sé?
Lei è nato e
cresciuto in
Pakistan?
Gill: Sì, sono
nato in una
famiglia
cristiana in
Pakistan, dove
sono cresciuto.
Sono andato in
Corea per
studiare diritto
e poi negli
Stati Uniti. Ora
lavoro con
l’American
Center for Law
and Justice,
come consigliere
associato in
Virginia.
Come è
approdato a
questo tipo di
lavoro?
Gill: Prima di
studiare
diritto,
lavoravo in
Pakistan per una
organizzazione
umanitaria, che
forniva
assistenza
legale alle
minoranze
perseguitate in
Pakistan,
soprattutto ai
cristiani.
Durante questa
attività ho
visto molte
persone in
Pakistan
perseguitate a
causa della loro
religione e
discriminate per
via della loro
fede. Così ho
iniziato ad
interessarmi
alle questioni
legali ed ho
deciso di
iscrivermi a
giurisprudenza.
Ci può dire
che tipo di
discriminazioni
vedeva?
Gill: In
Pakistan la
gente è
perseguitata per
motivi
religiosi. Molte
persone sono
bersagliate a
causa delle note
leggi
antiblasfemia,
promulgate nel
1986 dal
dittatore
militare, il
generale Zia
ul-Haq, e in
base a queste
leggi molte
persone sono
state
perseguitate
negli ultimi due
decenni.
Cosa sono
queste leggi
antiblasfemia?
Concretamente,
di cosa stiamo
parlando?
Gill: In
sostanza, se
dici qualcosa di
spregiativo
sull’Islam puoi
essere
processato. La
parte più nota
di queste leggi
è la Sezione 295
C del Codice
penale
pakistano,
secondo cui:
chiunque,
oralmente o per
iscritto o
mediante
visibile
rappresentazione,
profana il sacro
nome di
Maometto, sarà
punito con la
morte. Altre
sezioni del
codice penale
vietano la
dissacrazione
del Corano e dei
luoghi
religiosi, e
vietano persino
di pronunciare
parole
dispregiative su
esponenti
religiosi.
Lei dice che
questo incide
sia sui
cristiani che
sui musulmani.
Ma come può
incidere sui
musulmani?
Gill: Non
importa se si è
cristiani o
musulmani.
Quando dici
qualcosa di
dispregiativo
sull’Islam,
chiunque lo
sente può andare
alla polizia e
fare una
denuncia di
blasfemia. Ma
queste leggi non
sono usate solo
per il loro
scopo formale
antiblasfemia,
ma anche in caso
di controversie
personali tra
due persone. Per
esempio, se uno
decide di voler
dare una lezione
a un altro, può
andare dalla
polizia e
denunciarlo di
blasfemia.
Quindi queste
leggi sono usate
anche per
interessi
personali.
Ci può
raccontare
qualche esempio
concreto su cui
ha lavorato la
sua ONG per
aiutare persone
che hanno avuto
problemi con
queste leggi
sulla blasfemia?
Gill: C’era
stato un attacco
ad un villaggio
a Kasur da parte
di una folla di
musulmani.
Centinaia di
musulmani hanno
attaccato un
villaggio
cristiano di 135
famiglie.
L’evento
scatenante era
stata un’accusa
di blasfemia,
conseguente a un
litigio tra un
cristiano e un
musulmano.
Il cristiano
stava guidando
il suo trattore
e ha visto una
moto ferma in
mezzo alla
strada. Ha
chiesto al
motociclista di
spostarsi per
poter passare,
ma quello gli ha
risposto che un
“chura” non
poteva dire a
lui cosa fare.
Il termine
“chura” indica
in modo
dispregiativo un
cristiano.
Subito dubito è
scoppiata una
lite. Alcune
persone sono
intervenute per
fermarli e poi
tutti sono
tornati a casa.
Dopo qualche
ora, una
famiglia
musulmana ha
radunato altre
persone e
attaccato e
percosso quella
famiglia
cristiana. Il
giorno dopo,
alla moschea, è
stato annunciato
che un cristiano
aveva dissacrato
il Corano.
Allora si è
radunata una
folla che ha
attaccato le 135
famiglie di quel
villaggio. Tutto
ciò solo per un
futile litigio
tra due persone.
Quindi può
essere
facilmente
strumentalizzata?
Gill:
Assolutamente
sì. Può essere
facilmente
strumentalizzata.
I musulmani in
Pakistan sono
intolleranti per
qualsiasi
blasfemia contro
l’Islam. Bisogna
anche ricordare,
come ho detto
prima, che
questi incidenti
possono anche
non riguardare
blasfemie vere,
ma essere frutto
di dispute
personali.
Quindi si
dovrebbe sapere
che occorrerebbe
almeno
investigare su
ciò che
effettivamente è
successo e
cercare di
risolvere le
liti personali
in tribunale,
anziché
ricorrere alla
legge
antiblasfemia
per motivi
personali.
Lei ci ha
ricordato che la
parola “chura” è
un termine
dispregiativo
per indicare i
cristiani. Qual
è, in generale,
il rapporto tra
cristiani e
musulmani in
Pakistan?
Gill:
Generalmente
viviamo bene
insieme. Ai
cristiani è
consentito
andare in chiesa
e svolgere le
funzioni
religiose, ma
quando si crea
una disputa
sulla religione
o su motivi
personali, è
molto facile che
si ricorra a
quella legge.
Tutto ciò che si
deve fare è
andare alla
polizia e
denunciare il
fatto. Ora, se
io che sono
musulmano ho una
discussione con
te, non andrò
alla polizia
perché la pena
potrebbe essere
una mera
sanzione
pecuniaria. Ma
se ti denuncio
di blasfemia,
posso rovinarti
per tutta la
vita. Le tue
proprietà
potrebbero
essere
vandalizzate.
Potresti andare
in prigione e
rimanerci a
vita.
Quale
potrebbe essere
la tipica pena
in caso di
blasfemia?
Gill: Esistono
diverse pene, a
seconda del tipo
di violazione
della sezione
sulla blasfemia
del codice
penale. La
sanzione più
pesante è la
pena capitale in
caso si dica
qualcosa di
negativo sul
Profeta
islamico.
E' stata mai
messa in atto?
Gill: No, mai,
ma qualcuno è
stato anche
condannato a
morte.
Originariamente
si trattava di
ergastolo; ora
di morte. Nel
1991, la Corte
federale per la
Sharia, che è
una corte
islamica, ha
detto che
l’ergastolo non
è una punizione
appropriata,
mentre solo la
pena capitale è
una punizione
adeguata contro
chi profana il
nome del
Profeta.
Abbiamo
parlato delle
leggi
antiblasfemia.
Che altre forme
di
discriminazione
subiscono i
cristiani in
Pakistan?
Gill: Ho citato
il termine “chura”.
Ogni cristiano
nella sua vita
ha fatto
l’esperienza di
essere chiamato
con quel termine
dispregiativo da
parte dei suoi
vicini, amici o
altri musulmani.
I cristiani sono
visti di fatto
come cittadini
di serie B.
Anche la
Costituzione ne
fa cittadini di
serie B perché
afferma che il
presidente non
può essere un
non musulmano.
Come cristiano
non mi posso
candidare alla
presidenza e
quindi
automaticamente
la costituzione
mi identifica di
serie B. La
Costituzione
proclama i
diritti
fondamentali
della libertà di
espressione e di
religione, ma
queste libertà
sono soggette a
restrizioni.
L’articolo 19
della
Costituzione,
per esempio, ti
dà la libertà di
espressione, la
libertà di
parola, ma le
assoggetta a
“restrizioni
ragionevoli”
come quelle per
motivi di
“gloria
all’Islam” o di
ordine pubblico.
Ma queste leggi
non sono
attuazione di
queste
restrizioni.
Dal 1986, quando
la legge
originale sulla
blasfemia –
contenente la
sezione 295 C –
è stata
promulgata, fino
al 2009, vi sono
stati più di 900
casi di
blasfemia.
Quindi, anziché
arginare e
restringere i
casi di
blasfemia,
queste leggi li
anno aumentati.
La maggior parte
di questi sono
basati su false
accuse, ma le
false accuse
sono di per sé
una forma di
blasfemia.
Quindi queste
leggi che
dovevano
tutelare la
gloria
dell’Islam,
hanno in pratica
creato
violazioni alla
gloria o alla
sacralità di
quella religione
inducendo la
gente ad
accusare
falsamente gli
altri.
Lei ha avuto
esperienza
diretta di
questo tipo di
discriminazione?
Gill: Non
proprio
persecuzione, ma
discriminazione
sì. I miei amici
musulmani mi
hanno chiamato “chura”.
È un termine
storico che era
usato per
riferirsi agli
indù convertiti
al Cristianesimo
durante la
dominazione
britannica del
subcontinente.
La maggior parte
di questi
convertiti erano
considerati
intoccabili ed
erano trattati
male dagli indù.
Questo termine è
stato poi
importato ed è
usato per
indicare i
cristiani come
cittadini
appartenenti ad
una casta di
basso livello.
È
interessante
questa
spiegazione,
perché nel 1947,
quando si è
costituito il
Pakistan, è
stato definito
la “casa dei
puri” – la terra
dei puri – e il
suo primo
Presidente
affermava che i
cristiani
dovevano essere
liberi di andare
in chiesa e
pregare. I
cristiani
possono vivere
la loro fede
apertamente?
Possono
esprimere la
loro fede?
Gill: Io posso
dire alla gente
di essere
cristiano, ma
non posso
cercare di far
diventare
cristiano
nessuno,
soprattutto se è
musulmano. Non
esistono leggi
anticonversione
in Pakistan, ma
la società in
generale non
tollererebbe che
una persona
venisse
convertita.
A cosa
potrebbe andare
incontro un
cristiano se
colto mentre
cerca di
convertire
qualcuno? E cosa
succederebbe se
un musulmano
facesse lo
stesso?
Gill: Vi sono
stati casi, in
passato, di
gente che è
stata uccisa o
attaccata dai
propri
concittadini,
per essersi
convertita al
Cristianesimo.
Nel suo
lavoro per
l’American
Center for Law
and Justice, ha
avuto casi
legali di
musulmani
convertiti al
Cristianesimo
che si sono
rivolti a lei
per ottenere
tutela legale?
Gill: Quando
lavoravo in
Pakistan avevamo
un certo numero
di casi di
blasfemia di cui
ci occupavamo.
Nel mio lavoro
con l’American
Center for Law
and Justice,
sostanzialmente
diamo assistenza
legale alle
minoranze
cristiane in
Pakistan.
Abbiamo avuto in
Pakistan il caso
del figlio di un
pastore,
accusato dalla
polizia locale
di aver rubato.
La polizia aveva
arrestato un
certo numero di
persone per poi
rilasciarle
tutte – tutti
musulmani –
tranne il figlio
del pastore. Lui
è stato
torturato e gli
è stata rotta la
spina dorsale.
Noi lo
rappresentiamo
legalmente. Non
può più
camminare. È una
situazione
terribile. La
polizia lo ha
minacciato di
morte perché non
li denunci alla
magistratura.
Trattiamo
continuamente
casi di questo
tipo, di
carattere
discriminatorio.
Il fatto è che
hanno rilasciato
tutti gli altri
e detenuto e
torturato solo
lui, anziché
portarlo in
tribunale per
sottoporlo al
giudizio della
corte. È per
questo che
esistono i
tribunali. Ma
purtroppo la
polizia agisce
come giudice
perché lui è
cristiano.
È molto
delicato il suo
lavoro, perché
ha a che fare
con la cultura,
con la fede e
con la legge di
quel particolare
Paese. Non deve
essere facile.
Gill:
Effettivamente è
difficile.
Talvolta temo
per la mia
incolumità,
perché trattiamo
con la polizia e
con i politici.
In un altro
caso, a Gojra,
sono state
uccise delle
persone. Sei
sono stati arsi
vivi e due
uccisi a colpi
d'arma da fuoco.
In quel caso
molti musulmani
erano stati
accusati di atti
vandalici e
dell’uccisione
di cristiani. Il
contesto era
quello
cristiano-musulmano
di una famiglia
cristiana che
aveva litigato
con una famiglia
musulmana.
Quella musulmana
ha deciso di
rendere la lite
pubblica ed ha
accusato la
famiglia
cristiana di
dissacrazione
del Corano.
L’accusa è stata
annunciata nella
moschea. Allora
si è radunata
una folla che li
ha bruciati e
uccisi.
Secondo lei,
l’acuirsi delle
tensioni nella
comunità
internazionale,
per esempio
sull’Iraq e
l’Afghanistan,
si ripercuote
sui vostri casi
tra cristiani e
musulmani?
Gill: Vede, più
di 20 anni di
legislazione
antiblasfemia in
Pakistan ha
convinto la
gente che la
pena per chi
insulta l’Islam
è la morte.
Quindi, anziché
rivolgersi alla
magistratura, la
gente si fa
giustizia da
sola.
Ora, riguardo la
sua domanda:
anche l’Islam è
una religione
comunitaria, che
è una cosa
buona, ma allo
stesso tempo,
quando loro
vedono queste
guerre mosse
contro un altro
Stato musulmano,
come l’Iraq o
l’Afghanistan,
sentono una
responsabilità e
una solidarietà
con gli altri
musulmani e la
esprimono
vendicandosi sui
cristiani locali
che percepiscono
come specie di
agenti
americani.
Questo è un
fattore, direi,
che è importante
da tenere in
considerazione,
per spiegare
l’aumento delle
violenze contro
i cristiani.
Abbiamo
parlato molto
delle situazioni
di difficoltà,
ma ci devono pur
essere delle
storie di
sostegno tra le
comunità
musulmana e
cristiana o casi
di musulmani che
hanno preso
cristiani nelle
loro case perché
in difficoltà o
in pericolo di
essere
attaccati?
Gill: Ci sono
molte ONG
musulmane. Sono
moderate e
vogliono
aiutare, ma allo
stesso tempo, se
vogliono aiutare
i cristiani o le
altre minoranze,
rischiano di
porsi contro gli
altri musulmani
e questo
minaccia la loro
esistenza. In
pratica, quindi,
sono solo le
organizzazioni
cristiane che
rappresentano
queste vittime.
Alcune
organizzazioni
musulmane
collaborano con
quelle cristiane
per assistere i
cristiani.
Quindi
un’organizzazione
come la sua
svolge non solo
un lavoro
legale, ma ha
anche un ruolo
di tutela che è
molto importante
perché esercita
pressione sul
governo
pakistano,
perché rispetti
le proprie leggi
e incoraggi la
loro giusta
applicazione in
favore di tutte
le minoranze in
Pakistan?
Gill: L’American
Center for Law
and Justice
fornisce
assistenza
legale alle
organizzazioni
pakistane con
cui
collaboriamo.
Abbiamo anche
presentato una
petizione
scritta alle
Nazioni Unite,
dove sosteniamo
che tutti questi
casi sono una
violazione del
diritto
internazionale e
che il Pakistan
è obbligato a
rispettare il
diritto
umanitario
internazionale.
Siamo anche
impegnati nel
dibattito
pubblico e
recentemente
abbiamo avuto un
incontro con i
funzionari
diplomatici
pakistani per
informarli di
questi eventi.
Spero che
vorranno fare
qualcosa per
dare giustizia a
queste vittime e
processare chi
ha perpetrato
violenze per
motivi
religiosi.
Molti
cristiani locali
si sono arresi,
hanno preso i
propri beni e se
ne sono andati.
Perché sono i
giovani ad
andare via? E
cosa comporta
questo per i
cristiani in
Pakistan?
Gill: Dobbiamo
aiutare i
cristiani in
Pakistan a
rafforzarsi
nella società.
Per fare questo
occorre
l’istruzione. Le
scuole migliori
in Pakistan sono
quelle
cristiane:
cattoliche e
anglicane. Esse
forniscono la
migliore
educazione, ma
gli alunni sono
soprattutto
musulmani. Il
problema è che
se i cristiani
non sono ben
istruiti, non
ottengono buoni
lavori. Se
rimangono
analfabeti, non
potranno avere
influenza nella
società e
continueranno ad
essere bersagli
facili. È facile
sfruttarli,
perché non sono
in grado di
replicare, di
rispondere agli
attacchi, di
difendersi.
Si può avere
speranza per i
cristiani? Si
può avere
speranza per il
vostro Paese?
Gill: Sì, io ho
speranza, ma
dobbiamo pregare
molto per
questo. Abbiamo
bisogno di tante
preghiere sia
per i cristiani
che per i
musulmani in
Pakistan.
Preghiere
soprattutto per
i musulmani, che
Dio gli conceda
il
discernimento,
la sapienza e lo
spirito di
tolleranza, cosa
che potrà
avvenire solo
con il potere
dello Spirito
Santo. Poi,
dobbiamo educare
e rafforzare i
cristiani
locali, perché
possano
camminare con le
proprie gambe.
----------
Questa
intervista è
stata condotta
da Mark
Riedemann per "Where
God Weeps", un
programma
televisivo e
radiofonico
settimanale,
prodotto da
Catholic Radio
and Television
Network in
collaborazione
con
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