Come Castro e Chávez hanno perduto le elezioni 2010
Washington Post 4/11/2010
Molti leader esteri
hanno ragione ad essere
rammaricati per il
risultato ottenuto negli
USA alle ultime elezioni
di medio termine, dal
Comitato norvegese del
Nobel per la Pace al
Presidente russo Dmitry
Medvedev.
Tuttavia, se esiste un
vero sconfitto
non-americano dal voto
di martedì, quello deve
essere Raúl Castro.
Da mesi, il Dittatore
cubano e suo fratello
Fidel, ormai verso il
pensionamento, hanno
intrapreso un’attraente
offensiva mirata
all’amministrazione
Obama e al suo
Congresso.
Hanno spedito alcuni
prigionieri politici in
esilio; hanno invitato
giornalisti americani
all’Havana; hanno
incoraggiato i Cardinali
di Cuba appartenenti
all’Ordine della Chiesa
Cattolica di sostenerli
(Obama e la sua
amministrazione, NdT)
facendo pressione su
Washington. Fidel ha
perfino denunciato
l’antisemitismo.
Gli scopi erano ovvi:
ottenere dagli Stati
Uniti l’attenuazione
delle sanzioni imposte
su Cuba, in tempi in cui
l’economia del paese ha
disperatamente bisogno
d’aiuto. In particolare,
i fratelli Castro hanno
sperato nell’abolizione
del bando di transito
dei turisti americani –
evento che secondo i
calcoli avrebbe portato,
nelle spiagge cubane,
una piena di turisti
statunitensi e un
importante flusso di
moneta.
In poche parole, un
incentivo a legiferare
proprio su ciò che
ancora è in sospeso fra
le decisioni del
Congresso. Nonostante
tutto, le vittorie dei
repubblicani alla Camera
dei Rappresentanti e la
vittoria ottenuta da
Marco Rubio come
prossimo senatore
repubblicano della
Florida, quasi
certamente, significano
che i desideri dei
fratelli Castro non
verranno esauditi.
Rubio, figlio di
rifugiati cubani, ha già
promesso, nel suo
toccante discorso di
vittoria, che mai
dimenticherà la comunità
esiliata da cui
proviene.
Il che significa con
tutta probabilità, che
ogni misura pro-Castro
avrà bisogno di 60 voti
per passare al Senato
degli Stati Uniti (il
passaggio delle
principali leggi al
Senato necessita di una
maggioranza qualificata
di 60 voti, dei 100
disponibili, che
consentono di evitare il
diritto dell’opposizione
di fare ostruzionismo;
fenomeno che con i nuovi
seggi ottenuti dai
repubblicani sarà ancora
più forte, NdT).
Ancora più rilevante, il
cambio di poltrona
all’interno del Comitato
della Camera degli
Affari Esteri, che sotto
il potere repubblicano
pare sarà presieduta da
Ileana Ros-Lehtinen,
nata all’Havana e
difensore dei diritti
umani degli abitanti di
Cuba.
Il Presidente uscente,
il democratico Howard
Berman, ha deciso nel
settembre scorso di
rimandare il voto sul
progetto di legge
riguardante
l’eliminazione del
divieto di viaggio.
Decisione che con la
leadership di
Ros-Lehtinen, molto
probabilmente, sarà
sepolta per sempre.
Le cattive notizie per
la sinistra Latina non
finiscono qui.
Ros-Lehtinen è stata in
passato una critica
dichiarata del
“caudillo” venezuelano
Hugo Chávez e dei suoi
alleati, come il
nicaraguense Daniel
Ortega e il boliviano
Evo Morales.
Le prove
dell’amministrazione
Obama volte a
“resettare” le relazioni
con Chávez e Morales,
sembrano dunque volgere
verso un critico e
minuzioso esame da parte
della nuova guida degli
Affari Esteri.
Nel frattempo, qualche
vecchia guardia sta per
abbandonare la partita.
Bill Delahunt (Distretto
del Massachusetts),
membro degli Affari
Esteri, fra i più grandi
apologisti di Chávez
all’interno del
Congresso, è in procinto
di ritirarsi. Allo
stesso modo anche Chris
Dodd, senatore
democratico del
Connecticut, da tre
decadi il favorito della
sinistra latina,
difensore di Chávez fin
dagli inizi del suo
mandato, e sopratutto un
regolare critico del suo
(di Chávez, ma anche
della sinistra latina,
NdT) principale rivale,
il Governo democratico
della Colombia.
Grazie a questo
cambiamento
congressuale, le
possibilità della
Colombia di ottenere la
ratificazione
dell’accordo di libero
commercio con gli Stati
Uniti, sono incrementate
considerevolmente.
Le cattive notizie
provenienti da
Washington aggravano ciò
che è stata una serie di
sconfitte per Chávez, i
fratelli Castro e i suoi
sodali. Sia Cuba che il
Venezuela stanno
economicamente colando a
picco, sebbene il resto
della regione stia
crescendo forte fuori
dalla recessione.
Chávez ha perso il voto
popolare e dozzine di
seggi nel suo Congresso
durante l’ultima tornata
elettorale avvenuta il
mese scorso.
La settimana passata è
stata protagonista
dell’improvvisa morte
dell’ex-Presidente
argentino, Nestor
Kirchner, stretto
alleato di Caracas; così
come le elezioni
presidenziali del
Brasile della scorsa
domenica hanno
rimpiazzato il
carismatico Luiz Inacio
Lula de Silva, con una
tecnocrate senza fascino
che paia inverosimile
possa ricoprire il ruolo
di Lula come leader
della regione.
Il tanto celebrato impeto della sinistra latina sembra volto all’indebolimento. E il nuovo assetto politico di Washington si assicurerà che gli Stati Uniti non possano rinvigorirlo.
(Traduzione a cura di Stefano Pistore)