Intanto, ieri mattina, l’emissario statunitense per il Medio Oriente, George Mitchell, è arrivato a Gerusalemme per una serie di incontri con il presidente israeliano Shimon Peres ed esponenti del governo di Tel Aviv, tra cui il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Barak e quello degli esteri Avigdor Lieberman. “Prima di tutto voglio ribadire che gli Stati Uniti e Israele sono e rimarranno amici e alleati”, ha dichiarato Mitchell, rivolgendosi a Peres. “Il nostro impegno per la sicurezza israeliana resta immutato, ma allo stesso tempo vogliamo esercitare ogni sforzo per far ripartire il negoziato di pace e accelerare il cammino verso la prospettiva di uno Stato palestinese al fianco di Israele”, ha confermato il plenipotenziario di Washington.
L'intento americano è quello di rilanciare immediatamente il negoziato fra israeliani e palestinesi, ma ci sono diversi scogli da superare. Uno su tutti gli insediamenti di coloni ebraici in Cisgiordania e a est di Gerusalemme, dove vivono ormai 500mila abitanti. Il blocco degli insediamenti rappresenta la precondizione, avanzata dai palestinesi, senza la quale ogni inizio di trattativa sarebbe impossibile.
L’amministrazione Obama chiede a Israele l’immediato congelamento delle colonie e oggi Mitchell ne ha parlato anche con il ministro della difesa Barak. “Siamo tutti d’accordo che bisogna evacuare gli insediamenti illegali e impedire la nascita di nuove colonie. Tuttavia, il naturale sviluppo degli insediamenti è un argomento che deve continuare a essere discusso per arrivare a un accordo,” è stato il commento di Peres. “Focalizzarsi su un singolo aspetto non giova comunque a un più ampio processo di pace, che si suppone sia in programma per Israele e i suoi vicini,” ha aggiunto il presidente israeliano.
Netanyahu e il suo staff, da parte loro, si oppongono al congelamento delle colonie e nutrono più di un sospetto sui reali scopi del piano Obama. “Secondo Netanyahu – ha scritto ieri il quotidiano israeliano Haaretz, citando fonti vicine al primo ministro – gli americani ritengono che una controversia aperta con Israele sulle colonie sarebbe in grado di favorire il principale obiettivo dell’amministrazione Obama che è quello di migliorare le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo”.
La risposta di Netanyahu dovrebbe arrivare domenica prossima, quando il capo del governo illustrerà la politica diplomatica e di sicurezza del governo. Un discorso che il presidente statunitense è “ansioso di ascoltare”, come ha spiegato domenica sera in un colloquio telefonico proprio con il capo del governo israeliano. Un dialogo giudicato “positivamente” dalla Casa Bianca, durante il quale i due hanno concordato di "mantenere un contatto aperto e continuo".
Ma, a parte lo scetticismo israeliano, c’è un terzo grande ostacolo da superare: il cronico antagonismo tra i due movimenti palestinesi di Hamas e Fatah. L’Egitto e le altre capitali arabe stanno facendo pressioni sulle due fazioni per cercare di porre fine alle divisioni inter-palestinesi e hanno convocato un incontro urgente – fissato per il 17 giugno al Cairo – tra i ministeri degli Esteri della Lega Araba. E dopo, Obama dovrà confrontarsi anche con la sfida di Al Qaeda e con la laboriosa strategia atomica e terrorista dell’Iran. Il mondo mediorientale non è ancora quello dipinto dal presidente Usa.