L’Iran di Ahmadinejad può oggi a buona ragione celebrare una grande vittoria politica: gli Stati Uniti di Barack Obama si sono umiliati di fronte al regime degli ayatollah che, dopo avere sbeffeggiato l’Onu, l’Ue, gli Usa e la comunità internazionale, dopo avere rifiutato con determinazione i controlli dell’Aiea, si vedono ora corteggiati non solo da Javier Solana, ma anche dagli emissari del nuovo presidente.
Emissari statunitensi, si badi bene, che sono disposti se non a tutto, quantomeno a molto, a concessioni straordinarie pur di portare a casa un risultato che conforti la posizione dialogante di Obama e attesti che la posizione di George W. Bush – gli Usa non trattano se non dopo una sospensione del processo di arricchimento – era sbagliata. Chi profetizzava – come chi scrive – che Obama sarebbe stato un novello Jimmy Carter – pasticcione, dilettantesco, costruttore di crisi – ha oggi, purtroppo, una solenne conferma della sua previsione.
Con questo inizio di trattativa, in queste condizioni, con questo pieno riconoscimento delle ragioni di chi ha irriso la comunità internazionale per anni, Obama non solo umilia gli Usa, ma regala anche all’ala oltranzista di Teheran – e ad Ahmadinejad in persona – un clamoroso vantaggio in vista delle elezioni del prossimo giugno. Basta leggere la lunga intervista rilasciata dal presidente iraniano allo "Spiegel", per rendersi conto che non vi è nella sua posizione il minimo di cambiamento, la più piccola autocritica.
Ahamadinejad continua a ritenere illegittimo l’ordine internazionale uscito dal Secondo conflitto mondiale, continua a ritenere illegittima l’esistenza dello stato di Israele, continua a negare l’evidenza degli aiuti iraniani ai terroristi, continua a ritenere arbitrarie – questo è il punto intollerabile – le ispezioni dell’Aiea che infatti continua a negare. Non solo, Ahmadinejad ora si fa forte – e in questo ha ragione – anche dell’appoggio a queste sue posizioni oltranziste, revisioniste e guerrafondaie, dell’appoggio di 125 paesi dell’assemblea generale dell’Onu, a dimostrazione di un suo straordinario – ed effettivo – successo personale nel fare uscire l’Iran dal cono d’ombra in cui era stato per anni.
Bene, ora, questo Ahmadinejad si prepara a ricevere a Tehran emissari di Obama che gli stringeranno la mano a premio del suo dileggio delle regole internazionali, facendogli così dei clamorosi spot elettorali, che accompagneranno una campagna per le presidenziali in cui i “riformatori” non sono neanche entrati in gara – col ritiro di Khatami – e in cui – a oggi – l’unico candidato pericoloso per Ahmadinejad stesso, pareva essere Moussavi, che è un finto riformatore, che è un oltranzista come lui, ma che si voleva caratterizzare appunto per una apertura al dialogo con gli Usa.
Tutti gli ingredienti per un esito disastroso della prima, grande mossa di politica internazionale di Barak Obama sono dunque messi in pentola e resta la sola, piccola, speranza, che la cottura di questa pietanza mefistofelica duri poco, al massimo sino all’estate. In autunno, siamo facili profeti, ammaccati diplomatici di un ancora più ammaccato Barack Obama dovranno tirare fuori dal cassetto i dossier dell’amministrazione Bush e imparare, da bravi scolari ignoranti, come si deve trattare con i dittatori.
Pierpaolo* 15/04/09 13:47
Francesco Mangascià* 15/04/09 11:28
vanni* 14/04/09 14:52
stefano quadrio* 14/04/09 13:43