Le violazioni dei diritti umani in Cina | ||||
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mercoledì 28 gennaio 2009 - Ragionpolitica | |
Tutti ricordano l'immagine dello studente, in piazza Tienanmen, che fiero e coraggioso bloccava una colonna di carri armati forte solo della sua volontà. I fatti che conclusero la cosiddetta «Primavera di Pechino», nel 1989, sono ben impressi nella memoria di chi vide svolgersi la terribile repressione contro dimostranti universitari pro-democrazia, e soprattutto contro quella che era già una manifestazione di indignazione per il precedente massacro del 4 giugno, data in cui migliaia di studenti ed operai vennero massacrati dai militari che non esitarono ad eseguire l'ordine di aprire il fuoco sui civili. Ma perché ricordare quell'immagine divenuta un'icona della lotta per i diritti umani e civili, diventata una delle più emblematiche rappresentazioni del contraddittorio regime cinese? Perché dopo vent'anni gli strascichi di quei fatti sono ancora attualità, e la moderna Pechino del capitalismo ruggente non si è ancora sdoganata poi così tanto dal suo vizietto di violare ogni forma di libertà personale, di disprezzare ogni tipo di democrazia. Infatti, nel 2007, Wang Lianxi, uno dei dissidenti che vennero condannati a morte con l'accusa di aver incendiato mezzi e veicoli dell'esercito, venne rilasciato. La dinamica e la cronaca dei fatti è piuttosto suggestiva: Wang doveva subire la pena capitale, insieme ad altri sette ragazzi, ma nel lontano '89 venne ritenuto «disabile mentale. Per questa ragione la pena gli fu commutata in ergastolo; e per questo motivo ha potuto rivedere la libertà, due anni fa. Ha scoperto anche che i genitori erano nel frattempo morti e che la sua casa non esisteva più, demolita e calpestata dalle trasformazioni della megalopoli pechinese. Ma la libertà di un dissidente, in un Paese libero come la Cina, non è mai troppo ben vista. Sebbene l'ormai «signor» Lianxi fosse inoffensivo e vivesse solo grazie al buon cuore di un comitato spontaneo del suo quartiere d'origine, che gli aveva provveduto un letto e dell'assistenza, il 2007 era anche l'anno di preparazione alle attesissime Olimpiadi di Pechino 2008. E contestualmente alla preparazione dei Giochi olimpici, con uno spirito che forse De Coubertin non apprezzerebbe se fosse ancora in vita, interveniva in Cina una campagna volta all'allontanamento di chiunque fosse ritenuto fomentatore di critiche o semplicemente «nemico» del tentativo di fornire un'immagine del tutto positiva del Celeste Impero, divenuto storicamente Rosso. Così il povero Wang Lianxi, appena assaporata un'amara libertà, si è ritrovato subito al centro delle attenzioni della polizia: e come conseguenza diretta per la soluzione del «problema» venne nuovamente internato, questa volta in un ospedale psichiatrico nel distretto Xizhimenwai di Pechino. La struttura, Pingan, si è trasformata in modo kafkiano nel suo nuovo carcere, e così uno degli ultimi testimoni viventi dei fatti di quella lontana primavera è stato messo nuovamente a tacere. Ovviamente gli esami psichiatrici sul soggetto non sono mai stati svolti, ed il giudizio è dipeso da un insindacabile volontà del Partito. Il gruppo pro-diritti umani Chinese Human Rigths Defenders sottolinea come le autorità «celesti» utilizzino spesso la pratica di confinare persone ritenute «scomode» e cittadini «indesiderabili» per le più svariate ragioni in strutture psichiatriche. E' un fatto che la legge cinese non delimiti in modo chiaro le fattispecie per cui qualcuno possa essere coattamente sottoposto a trattamenti medici od a trattamenti psichiatrici.
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