di Lillo Maiolino - Ragionpolitica 27/1/2009
L'acre odore della polvere da sparo, lasciata dai fuochi d'artificio preparati in occasione della consueta festa di primavera, non si è ancora diradato nei cieli di Cina. La ricorrenza è una delle più attese per milioni di cinesi in patria e nelle diverse parti del mondo, oltre che in altre nazioni dell'Estremo Oriente, e coincide con il Capodanno, ovvero la prima luna dell'anno in base al calendario orientale lunisolare. Parallelamente, per l'astrologia cinese, l'evento segna il passaggio dal segno del topo a quello del bue. Ma i prossimi mesi, una volta concluso anche l'epilogo della festa delle lanterne, saranno molto impegnativi per la Repubblica popolare alla ricerca di conferme o bisognosa di cambiamenti forzati causati dalla crisi internazionale e, di riflesso, dalla congiuntura interna che genera sempre più poveri e disoccupati. Il rapporto annuale pubblicato nelle prime settimane del 2009 - occidentale - dalla rivista «Outlook» («Liaowang») e diffuso dall'agenzia di stampa statale «Xinhua» non è confortante e suscita stupore, per una volta, che organi di stampa vicini o controllati direttamente dallo Stato siano così chiari.
A causa della contrazione dell' «export» - sul quale le aziende cinesi fondano gran parte dei loro profitti, provocato della caduta delle commesse dall'estero - la disoccupazione urbana ha toccato il 12 per cento e, per il 2009, si registrerà un'impennata di almeno altri due punti percentuali. I salari dei lavoratori rimangono bassi. Secondo quanto affermato dal consigliere di Stato Chen Quansheng al China Economic Weekly, «le piccole aziende che hanno chiuso nelle diverse regioni del Dragone sono 670 mila, quelle grandi non assumono più e si registrano 6,7 milioni di disoccupati», i quali sono stati spediti a casa o nelle campagne, da dove provenivano, senza alcun tipo di sussidio.
Il panorama non
è florido
nemmeno nel
settore
agricolo, dove
almeno 10
milioni di
contadini e
operatori sono
rimasti senza
lavoro.
Questi sono solo
i dati dei
lavoratori in
regola, è
impossibile
compilare
statistiche per
i milioni di
impiegati in
nero. A
scalpitare sono
soprattutto gli
immigrati e i
neo laureati
alla ricerca del
primo impiego:
una coda di 7
milioni di
speranzosi che
non riescono a
trovare
occupazione. Un
elemento
quest'ultimo
che,
ripercorrendo a
ritroso la
Storia, non fa
dormire sonni
tranquilli al
presidente Hu
Jintao e ai suoi
ministri: la
rivolta,
infatti, di
piazza
Tienanmen, della
quale proprio
quest'anno
ricorre il
ventesimo
anniversario
(giugno 1989),
partì proprio
dagli
universitari i
quali vennero
macellati dai
cingolati
comunisti perché
«rei» di
chiedere riforme
al regime. Fin
ora solo il
municipio di
Shanghai ha
promosso un
programma di
sussidi per i
lavoratori
immigrati e i
neo laureati. La
crisi ha
investito
pesantemente
l'area tessile
dello Yangtze
(uno dei
capisaldi
dell'economia
cinese) e si è
diffusa nello
Jiangsu.
I
focolai di
protesta si
alimentano, come
è avvenuto a
Chongqing, città
della Cina
meridionale, con
un'alta densità
di immigrati
anche non
regolari;
malumori che
ingrossano pure
per colpa dei
metodi
repressivi della
polizia, a causa
della dilagante
corruzione negli
ambienti statali
e per protestare
contro
l'arbitraria
confisca di
terreni. «La
corruzione è
contrastata dal
governo centrale
- spiega ad
Asianews
Zhou Tianyong
,studioso della
Scuola del
Partito
comunista a
Pechino - ma il
fenomeno si
concentra
soprattutto
all'interno
delle
amministrazioni
locali».
Tianyong vede
con scetticismo
anche la manovra
da 4 mila
miliardi di yuan
presentata
dall'esecutivo a
novembre:
«Sembra solo un
palliativo,
poiché gran
parte degli
investimenti
previsti sono
destinati alle
grandi opere,
infrastrutture
che creeranno
posti di lavoro
solo
temporanei».
Un
quadro non
rassicurante,
quello della
Cina nel 2009,
che rimpingua la
campagna di
«Charter ‘08»,
attivata e
animata negli
ultimi mesi da
numerosi
dissidenti ed
attivisti. Nei
calcoli redatti
dal rapporto di
«Outlook» si
parla di almeno
33 milioni di
nuovi posti di
lavoro da
creare per
risollevare la
situazione. Il
governo per
adesso prevede
il potenziamento
degli strumenti
statistici per
il monitoraggio
del settore
lavoro e la
distribuzione di
incentivi a
coloro che
vogliono avviare
una nuova
attività
commerciale,
con
l'organizzazione
di corsi di
formazione
gratuita per i
disoccupati.
Inoltre, come spiega il giornalista Huang Huo (curatore del Rapporto) la Cina punta ad un incremento dell'8 per cento del Pil nell'anno appena iniziato, dato che si traduce nella possibilità di fare nascere 8 milioni di nuovi posti di lavoro nel Paese. Le previsioni indicano, però, nei prossimi mesi un Pil attestato al 7,5 per cento, un dato ancora inferiore rispetto al già magro - per gli standard cinesi - più 9 per cento registrato nell'ultimo trimestre del 2008.
Il presidente Jintao punta, infine, ad un aumento delle riserve valutarie (più 17 per cento nel 2009) e dei prestiti, in modo da potere rafforzare il consumo interno e fare respirare il settore depositi e prestiti. Nella direzione del settore dei prestiti finanziari sono concentrati gli sforzi di «People's Bank of China», la quale si sta impegnando per irrobustire la liquidità del comparto.