Il Papa che
preferisce
dimenticare la
Shoah
Di Vito Mancuso - Repubblica 26/1/2009
Una cosa
deve essere
chiara:
negare che
un crimine
sia avvenuto
significa
commetterlo
di nuovo. Ed
è quello che
fa sua
eccellenza
monsignor
Richard
Williamson,
vescovo
lefebvriano
ora
pienamente
cattolico
grazie alla
clemenza di
Benedetto
XVI, col
negare
l'esistenza
delle camere
a gas e
ridurre il
numero degli
ebrei uccisi
a un massimo
di 300.000.
In
questo
articolo
provo a
indagare due
cose: 1) il
motivo che
porta un
seguace
dell'ebreo
Gesù,
immagino
anche
particolarmente
devoto
all'ebrea
sua madre
Myriam, a
negare la
Shoah; 2) il
motivo che
porta un
papa,
vicario
dell'ebreo
Gesù, a
riammettere
alla piena
comunione
ecclesiale
un prelato
di cui si
conosce la
negazione
della Shoah.
Monsignor
Williamson
non ha
scoperto
nuovi
documenti in
base a cui
dimostra che
la
ricostruzione
storica
della Shoah
è
grandemente
inesatta.
Egli
semplicemente
sceglie di
prestare
fede, di
contro ai
numerosissimi
storici che
attestano la
Shoah, ai
pochissimi
che la
negano. Se
già la
ricerca
storica
dipende
dalle
ipotesi di
lavoro del
singolo
studioso, a
maggior
ragione la
scelta di
sposare una
o l'altra
tesi
storiografica
da parte di
chi storico
non è,
dipende
dalle
precomprensioni
personali.
Ora la
domanda è:
qual è la
precomprensione
che porta il
"nuovo"
vescovo
cattolico,
di contro a
una montagna
di documenti
e di
testimoni, a
prestare
fede alla
tesi
negazionista?
Non ho usato
a caso la
parola
"fede",
perché di
questo si
tratta.
Infatti è
una
particolare
interpretazione
della fede
cristiana a
muovere la
mente di
monsignor
Williamson:
la medesima
che fu
all'origine
dell'antisemitismo
che portò
alla Shoah.
Questo
nuovo
vescovo che
noi
cattolici
abbiamo
ricevuto in
dono dal
Papa è la
prova
provata che
un certo
cristianesimo
ha molto a
che fare con
quel
pensiero
assassino
che si
concretizzò
nella
Endlosung
decisa da
Hitler il 20
gennaio 1942
nella
conferenza
di Wannsee.
A
proposito
dell'antisemitismo
nazista ha
scritto
monsignor
Pier
Francesco
Fumagalli,
per anni
segretario
della
Commissione
della Santa
Sede per i
rapporti
religiosi
con
l'ebraismo:
«Simili
concezioni
neo-pagane
erano
favorite da
un ambiente
generale nel
quale già da
secoli
circolavano
stereotipi
antiebraici
di carattere
cristiano,
che
permisero la
crescita di
un
antisemitismo
diffuso,
solo
apparentemente
moderato».
Il per
nulla
moderato
monsignor
Williamson è
un elemento
chimico
molto utile
al
laboratorio
della
storia, è
una specie
di fossile
vivente, un
reperto
personificato
delle radici
cristiane
dell'antisemitismo,
di cui
Giovanni
Paolo II ha
chiesto
perdono, ma
a quanto
pare con
poco
successo
presso il
suo
successore.
Vengo al
secondo
punto: come
mai
Benedetto
XVI, nel
decidere di
riammettere
alla piena
comunione
ecclesiale i
lefebvriani,
è passato
sopra alle
opinioni
criminali
(nel senso
tecnico di
costituire
un crimine
perseguibile
dalla legge)
di monsignor
Williamson?
Di sicuro
non ha
fondamento
la
distinzione
della Sala
Stampa
vaticana tra
livello
dottrinale e
opinioni
politiche
personali,
perché il
Vaticano
guarda
sempre con
attenzione
alle
opinioni
politiche
personali:
furono
esattamente
le opinioni
politiche
personali a
generare la
repressione
contro la
teologia
della
liberazione.
In
realtà le
opinioni
politiche di
monsignor
Williamson
non sono
state
ritenute un
ostacolo.
C'era
qualcosa di
più
importante
della
negazione
della Shoah,
della
memoria di
sei milioni
di morti. Di
sicuro erano
pure
previste le
reazioni
scandalizzate,
gli
inevitabili
contraccolpi
per il
dialogo col
mondo
ebraico, ma
si è
proseguito
lo stesso.
Perché
Benedetto
XVI ha agito
così? A mio
avviso la
risposta è
una sola:
per
l'interesse
della
Chiesa. Il
Papa ha
ritenuto il
bene della
struttura
ecclesiastica
superiore al
rispetto
della verità
e della
memoria dei
morti. È il
tipico
peccato
degli uomini
di potere,
che per dare
forza al
proprio
stato o
partito o
azienda sono
disposti a
calpestare
la verità.
Questo è
avvenuto:
una fredda,
gelida,
lezione di
che cosa
significa
"servire la
Chiesa",
ritenendo il
bene della
Chiesa
superiore a
tutto,
persino alla
memoria dei
morti. La
storia della
Chiesa
conosce
molte pagine
di questo
stesso tetro
colore.
Concludo
ricordando
che nel 1998
il Vaticano
pubblicò un
documento
intitolato
«Noi
ricordiamo:
una
riflessione
sulla
Shoah».
Accettando
monsignor
Williamson
come vescovo
cattolico,
Benedetto
XVI ne ha
scritto un
altro, con
un titolo
diverso:
«Noi
dimentichiamo».
Desidero
dire ai
fratelli
ebrei che
molti
cristiani
non
leggeranno
mai quel
documento, e
continueranno
a ripetere
con Giovanni
Paolo II:
Noi
ricordiamo!