Qualche appunto
per sfatare il mito onusiano della «trattativa»
Francesco
Natale - Ragionpolitica venerdì 09 gennaio 2009
Fassino, con serietà tutta onusiana, sostiene la «inutilità della
risoluzione militare e la necessità di ricorrere alla trattativa» al
fine di fermare il conflitto a Gaza. Forse un excursus nella storia
recente e passata non guasterebbe al direttivo del Pd: non esiste
nella storia dell'umanità un conflitto di proporzioni significative
risolto grazie alla diplomazia
Ho seguito lo sviluppo del nuovo conflitto che imperversa sulla
striscia di Gaza tramite gli sms di Rainews24, poiché mi trovavo
all'estero, il che mi ha impedito (e forse è stato un bene...) di
ascoltare le tante, inutili, dichiarazioni all'acqua di rose degli
esponenti partitodemocratici riguardo alla «non praticabilità della
soluzione militare per risolvere il conflitto israelo-palestinese».
Appena giunto in Italia ho faticato a credere alle mie orecchie:
qualcuno, non si sa bene quale raccaille estremosinistra o
sedicente neodem, ha proposto il boicottaggio dei negozi «gestiti da
ebrei» di Roma, quasi a sancire il prodromo di una nuova «notte dei
cristalli». Comprendo al riguardo il pallore e le mani tra i
capelli, assai poco kennedyani invero, di Walter Veltroni.
A questo si aggiungano le dichiarazioni del «ministro ombra» (o
«ombra-ministro», suvvia) Piero Fassino che con compunta serietà
tutta onusiana sostiene, come dicevamo poc'anzi, la «inutilità della
risoluzione militare e la necessità di ricorrere alla trattativa»
per fermare il conflitto a Gaza. Forse un breve excursus nella
storia recente e passata non guasterebbe al direttivo pdino: non
esiste nella storia intera dell'umanità un conflitto di proporzioni
significative che sia stato risolto grazie alla diplomazia.
Ramsete II non
va a Qadesh per fare un picnic diplomatico con gli Ittiti. Giulio
Cesare non conquista le Gallie grazie alla sua eloquenza. Gli
americani sbarcano in Normandia per prendere a calci l'esercito
tedesco, non per intavolare trattative sull'import-export di
weisswurst e birra artigianale. Dresda e Tokyo subiscono una
«tempesta di fuoco» che causa centinaia di migliaia di morti
(civili, per capirci) e nessuno di lor signori protoonusiani si è
mai preso la briga di spendere una lacrima o una parola sulla morte
atroce che ha colpito ragazzi, donne, bambini. L'aver riportato
all'età della pietra Hiroshima e Nagasaki ha costretto il Giappone
alla resa incondizionata, cosa che tutto l'establishment
diplomatico, dopo aver deprecato gli orrori della Bomba A, ha
avvallato senza dire «bau». Una delle due Coree è stata salvata
dagli orrori prodotti e voluti da Kim-Il-Sung e dalla sua progenie
perché è stata combattuta una guerra, non perché qualche lacchè di
Washington ha condiviso tartine al caviale con la sua controparte di
Pyong-Yang.
Purtroppo la nostra storia ci insegna che la pace è una condizione
transitoria, soprattutto in un mondo dove la comunità internazionale
è solo una congerie di burocrati da un lato e banchieri dall'altro.
Al di là della patina di tolleranza, civiltà, modernità e apertura
mentale di cui vogliamo a tutti i costi paludarci per timore di
essere scambiati per barbari sanguinari e magari di ritrovarci
esclusi da quei salotti buoni così faticosamente guadagnati a forza
di baciare augusti coturni, dobbiamo riconoscere che la pace ce la
siamo sempre guadagnata sul filo delle spade.
A questa apparente cecità storica di certa parte politica (e,
purtroppo, di gran parte della cosiddetta «società civile»...),
assommiamo pure la unidirezionalità critica dei benpensanti, che
sembrano sempre ben disposti, amichevoli e comprensivi nei confronti
di chiunque si sia proposto di «cancellare Israele dalle carte
geografiche». Ma perché i nostri magistri del pensiero non vanno a
spiegare le gioie della trattativa diplomatica ad Ahmadinejad, a Bin
Laden, ai massacratori del Darfour o del Myanmar, ai tanti
illuminati fabbricanti di terroristi suicidi?
Perché non si fanno missionari e vanno, onusianamente of course,
ad evangelizzare «i più bisognosi», anziché continuare a
stigmatizzare uno stato libero e civile, circondato da nemici, che
altro non fa se non difendere se stesso con l'unica forza che
funziona storicamente in situazioni di grave crisi ovvero quella
delle armi?