Intervista a Amir Abbas Fakhravar di Emiliano Stornelli - l'Occidentale 16 Dicembre 2007
Tra i dissidenti che hanno animato la Conferenza di Roma “Fighting for Democracy in the Islamic World”, l’iraniano Amir Abbas Fakhravar è quello che più ha attirato l’attenzione dei media e di quanti hanno partecipato all’evento. Per la sua giovane età, 32 anni, e soprattutto per la sua vicenda personale: leader del movimento studentesco in lotta contro il regime degli ayatollah, è stato il primo prigioniero politico iraniano a subire la cosiddetta ‘tortura bianca’, una forma particolarmente efferata di tortura che lo ha costretto - per 222 giorni - in una cella acusticamente isolata, con fortissima illuminazione al neon costantemente accesa e disposta in modo da riflettere tremolante il color crema delle pareti. Privato pure del sonno, il cibo non era altro che riso, servito in piatti anch’essi bianchi. Eppure Amir Abbas è riuscito a sopravvivere e a riprendersi la libertà. Dopo essere entrato alla facoltà di legge, vincendo dal carcere il concorso d’ammissione, ha fatto perdere le sue tracce durante un permesso ottenuto per dare un esame. Le autorità gli hanno dato la caccia per dieci mesi, la polizia aveva persino l’ordine di sparare a vista contro di lui. Alla fine Amir Abbas ce l’ha fatta ed è riuscito a raggiungere gli Stati Uniti, da dove continua a combattere la teocrazia khomeinista, con l’obiettivo di unificare l’eterogenea opposizione iraniana per muoverla come un solo uomo contro il regime oppressore e sanguinario di Teheran. Nella sua testimonianza alla Conferenza di Roma ha spiegato come gli ayatollah, servendosi dell’istruzione pubblica, abbiano dato vita a un sistema educativo che fin dall’infanzia (de)forma le menti e i cuori degli iraniani all’odio verso l’Occidente, incarnato dagli Stati Uniti, gli ebrei e Israele. Di questo ha parlato anche all’Occidentale.
A quale dottrina si
ispira il sistema educativo iraniano?
Subito dopo la presa del potere nel
1979, Khomeini diede avviò alla
cosiddetta ‘rivoluzione culturale’. Le
università rimasero chiuse per quattro
anni, il tempo di fare piazza pulita
dell’educazione precedente, procedere al
cambiamento degli insegnanti (molti dei
quali furono espulsi o uccisi) e
introdurre nuovi libri di testo. I nuovi
libri erano pieni d’odio verso le altre
religioni, quella ebraica in
particolare, e l’odio nei confronti
degli Stati Uniti e Israele era il
nostro pane quotidiano. Molti libri si
aprivano con la frase di Khomeini “il
vero leader è il ragazzo di 12 anni che
cinge attorno a sé una granata e con
essa si fa esplodere. Sarà costui a bere
il vino puro del paradiso”.
Quali erano i metodi
d’insegnamento?
La scuola elementare in Iran inizia a
sette anni. Ricordo che dovevamo raderci
a zero i capelli e che eravamo costretti
ad indossare uniformi scure. Era
proibito giocare, andare a scuola era
come essere in una caserma militare.
Dovevamo cantare “Morte all’America!
Morte a Israele!”. Ogni giorno, in
continuazione, i maestri ci ripetevano
che gli Stati Uniti erano il ‘Grande
Satana’ e li rappresentavano come una
creatura malvagia, dalle unghie lunghe e
insanguinate; un dracula dai denti
affilati che indossava una bandiera a
stelle e strisce. Ma noi non avevamo la
minima idea di cosa fossero gli Stati
Uniti. Ci dicevano che quella terribile
creatura era assetata del sangue dei
giovani, specie dei giovani iraniani.
Anche gli ebrei erano dipinti come
esseri dalla natura malvagia. Sui muri
delle scuole c’era spesso scritto
“Israele deve essere cancellata dalla
carta geografica”.
Poi cos’è accaduto nelle
università?
Nei campus si diffuse la consapevolezza
dell’inganno cui eravamo tutti
sottoposti. Le domande, le richieste di
chiarimenti, le nostre curiosità
rimanevano tutte senza risposta. A quel
punto, cominciammo a comunicare con
l’esterno grazie a internet. Il potere
magico di internet ci venne in soccorso,
aiutandoci a capire che il mondo esterno
non era quello che ci veniva descritto
dalle autorità.
Quale fu il ruolo di
internet nella contestazione al regime?
Internet divenne un formidabile
strumento di lotta contro il regime. Gli
ayatollah non avevano ancora compreso le
potenzialità di questo strumento cui gli
studenti avevano accesso. I messaggi che
circolavano nella rete non erano
sottoposti al rigido sistema di filtri
che c’è oggi. Capimmo allora di poter
sfidare l’educazione fondamentalista e
mettere il regime in difficoltà. Fu così
che si costituì il movimento studentesco
e iniziò la contestazione.
Perché la rivolta fallì?
Era il 9 luglio del 1999. Frequentavo la
scuola di medicina, ero in ospedale
quando vidi un mio compagno volare giù
dal tetto del palazzo della polizia;
vidi poi altri amici e studenti
arrestati. La rivolta durò sei giorni,
potevamo davvero rovesciare il regime.
Molti esponenti della teocrazia avevano
già preparato la fuga, ma ci venne a
mancare il supporto internazionale e
quello dei mezzi di comunicazione: non
riuscimmo a far sentire alla gente la
nostra voce. Un anno dopo ero in
carcere.
Il sistema educativo di
oggi è cambiato?
Sì, e in peggio. Con Ahmadinejad è
iniziata la ‘nuova rivoluzione
culturale’, su spinta del religioso
Mesbahe Jazdi, mentore del presidente
iraniano. Il lavaggio del cervello è
diventato ancora più pericoloso che in
passato. I nuovi libri elevano la
cultura del martirio a cardine del
sistema educativo. Considerando che il
75 per cento della popolazione è sotto i
35 anni e che gli studenti sono circa 20
milioni (2 milioni gli universitari),
avremo una nazione popolata da
potenziali terroristi suicidi. Questo è
l’obiettivo del regime e se non verrà
fermato lo raggiungerà. Il mondo libero
deve intervenire per il bene dei giovani
iraniani.
Che può fare la comunità
internazionale per liberare l’Iran?
Deve accrescere la pressione
internazionale sul regime e deve dare
maggiore sostegno all’opposizione
interna. Le organizzazioni
internazionali e i paesi democratici
devono stringere la corda delle sanzioni
politiche ed economiche, mentre i mezzi
di comunicazione occidentali devono
penetrare maggiormente in Iran, così da
convincere la popolazione che è davvero
possibile rovesciare il regime
dall’interno.