Il duro del ’68 che ora spara a sinistra
Luca Telese – Giornale 10-04-2007
ROMA - Con «Gino» non si scherza. Avrebbe dovuto capirlo almeno Piero Fassino. Nel 2002, nel pieno della campagna contro la guerra in Afghanistan, il leader ds cercò di liquidare il suo mito con una lettera «esorcistica» al Corriere della Sera: «Non sono un pacifista alla Gino Strada», scrisse, a metà fra scherno e scongiuro. Intendeva dire che Strada era «un pacifista integralista», mentre lui «pragmatico e responsabile». Mal gliene incolse. Il popolo della pace (fra cui moltissimi diessini), non colsero la sottigliezza. Erano i giorni in cui Strada, grande forgiatore di autodefinizioni brillanti («chirurgo di guerra») e slogan, aveva ideato il celebre «Contro la guerra senza se e senza ma» per triturare i se e i ma che consentivano alla sinistra riformista di tenere i piedi in due scarpe: sostenere gli interventi militari e partecipare ai cortei contro quegli interventi. Dopo la lettera al Corriere anche la difesa di questo ossimoro divenne impervia: Fassino durante un corteo entrò in via Amendola con una bandiera della pace al collo, fu inseguito, sputacchiato, fischiato. Fine ingloriosa: mezz’ora imbottigliato dietro gli «scudi umani» della Sinistra Giovanile, poi fugone per riparare fra le mura amiche del Botteghino. Il corteo, intanto, era tutto un tripudio di «Gi-no, Gi-no!».
Dovevano capirlo allora, i leader ulivisti, che Strada non è uno dei tanti intellettuali prêt à porter da usare come faceva Enrico Mattei coi partiti: salgo-pago-la-corsa-e-scendo. Gino si era fatto le ossa da cattivissimo, nel servizio d’ordine del movimento studentesco a Milano negli anni di porfido, per poi reinventarsi una vita. Il suo radicamento a sinistra è stato cementato dalla fondazione di un’associazione non governativa umanitaria - Emergency - e da due best seller autobiografici, Pappagalli verdi e Buskashi. Nel tempo in cui i libri dei leader ulivisti ammuffiscono tra le rese, qualche leader avrebbe dovuto leggerli, questi volumetti biancoerosso Emergency, editi da Feltrinelli. Strada ha penna epica e racconta storie dure: mine, morti, battaglie, bombe giocattolo, guerre dimenticate, bambini senza gambe e offre a una sinistra esangue un portafoglio di valori altrove introvabile. Così Emergency diventa molto più di una croce rossa «di sinistra»: sede di militanza, simbolo, persino un «logo» (trendy)con cui marchiare automobili, penne, agende. E poi c’è la corte di amici che contano, tra cui generosi finanziatori, come Massimo e Milly Moratti. E quando nel 2006 la sinistra da Palazzo Chigi si deve inventare (Rifondazione compresa) un nuovo ossimoro, per passare dal «pacifismo pragmatico» al «bellicisimo pacifista» (il sì a tutte le missioni), «Gino» torna da convitato di pietra e senza far sconti a nessuno.
Nel 2002 aveva creato un
superpartito
trasversale, da Sergio
Cofferati a Giulietto
Chiesa (sempre in tv con
giubbino smanicato
Emergency), da padre
Alex Zanotelli a Gianni
Minà, a Vauro (che per
«Gino» ha lasciato il
manifesto), al mistico
Tiziano Terzani, uno che
partecipando all’ultima
manifestazione prima di
morire, in Campidoglio,
spiegava: «Non ho mai
fatto nulla di politico.
Ma mi hanno detto: “C’è
Gino!”. E allora sono
venuto...». Il fatto è
che Strada ha quello che
i leader dell’Unione
agli occhi dei loro
militanti hanno perso:
chioma sale e pepe,
carismatico, bello
tenebroso - dogmatico,
forse -, ma coerente.
Quando il governo
dell’Unione arriva al
primo voto
sull’Afghanistan,
riunisce la sua armata
di firme su un appello
feroce: «Chi vota la
guerra è fuori dal
movimento». Una durezza
«ingenerosa», gli
rimprovera Massimo
D’Alema. O Arturo
Parisi, che da ministro
lo visita in
Afghanistan, scatenando
un incidente
diplomatico, quando dice
che Emergency è
«protetta» dalla
missione militare.
Strada fu spietato:
«Semmai è il contrario».
Certo non era lontano dal vero, se poi l’Unione lo ha scongiurato di trattare con i taliban per Mastrogiacomo. Gino il miracolo lo fa, ma non accetta la doppiezza di chi vuole negare la trattativa, e abbandonare il suo uomo in mano ai servizi di Karzai. Porta persino 15mila in piazza, contro Prodi. Perché Emergency sarà molte cose, buone o meno, ma non un taxi da cui l’Unione può scendere e salire. Oggi è un’ambulanza, semmai, per le spoglie del «pacifismo di lotta e di governo».