Sezione: cultura - Pagina: 049 |
|
(20 marzo, 2007) Corriere della Sera
|
|
|
Mario e Alvaro Vargas Llosa |
|
Libertà |
In Sud America se vuole fare carriera uno scrittore
deve scegliere la sinistra |
|
|
|
Il primo dubbio che a Cuba qualcosa non
funzionasse, a Mario Vargas Llosa, venne presto, nel 1966. «Fu l'
anno di una grande repressione contro gli omosessuali, i criminali,
i controrivoluzionari - racconta -. Tutti assieme furono messi in
campi di concentramento: ne conoscevo parecchi, poeti, artisti,
ballerini, molti avevano partecipato alla rivoluzione. Fu un grande
shock, il primo che mi fece dubitare di essere nel giusto a
difendere la rivoluzione cubana, il socialismo. Non ne parlai in
pubblico. Scrissi però una lettera a Fidel Castro che invitò me e
altri a un incontro privato. C' erano molti intellettuali cubani,
ricordo che c' era Fernández Retamar. Fidel parlò per 12 ore, quasi
senza interruzioni, fino al mattino». Il dubbio, da quella notte, ha
scavato e ha permesso al grande scrittore peruviano non solo di
modificare in fretta la sua lettura della rivoluzione castrista: gli
ha anche dato gli strumenti per seguire con occhi disincantati il
progressivo fallimento, negli anni successivi, degli intellettuali
in tutta l' America Latina. L' incapacità, prima di tutto, di fare i
conti con la questione della libertà. Parola che per molti tempo ha
fatto a pugni con Sud America e ancora oggi è un problema non
risolto. Ieri, Vargas Llosa era a Milano con il figlio Álvaro,
invitati da Fastweb e dall' Istituto Bruno Leoni, un loro modo di
festeggiare il 19 marzo, festa del papà: assieme, hanno tenuto una
conversazione intitolata proprio «L' esilio della libertà», quasi
che essa fosse incompatibile con il cono sud dell' America. In
questa intervista, che ha preceduto il dibattito, esprimono il punto
di vista di liberali - sono concordi quasi su tutto - a una
latitudine che liberale non è. L' anno dopo la nottata con Fidel,
Mario mise piede in Unione Sovietica per la prima volta. «Lì, lo
shock fu brutale, non potevo credere ai miei occhi: vedere cos' era
il socialismo reale per me fu un terremoto interiore, pensavo che se
fossi nato lì sarei stato in prigione o in esilio». Infine, l'
affair Padilla, a fine decennio, fu il punto di svolta definitivo:
il poeta Heberto Padilla aveva vinto un premio ma il governo dell'
Avana lo annullò, iniziò una persecuzione nei suoi confronti, lo
costrinse a un' autocritica pubblica umiliante. «Ci fu un grande
dibattito tra gli intellettuali sudamericani - ricorda Mario - Ma la
maggior parte rimase socialista e continuò a sostenere la
rivoluzione cubana: Julio Cortázar restò socialista, Gabriel García
Márquez anche, ovviamente Mario Benedetti. Carlos Fuentes restò nel
mezzo». E la loro egemonia culturale mise radici. Intellettuali
latinoamericani attenti alla questione della libertà e della
democrazia non sono ovviamente mancati: Mario e Álvaro citano
Octavio Paz, Carlo Rangel, Enrique Krauze. «Ma ancora oggi, se sei
un giovane scrittore o artista trovi difficoltà enormi, se non entri
nei canali istituzionali che sono praticamente del tutto controllati
dalla sinistra - dice Mario -. Devi lanciare una sfida, ma rischi.
Anche in Europa è un po' così, ma in modo meno drammatico». Padre e
figlio ritengono che l' idea di libertà in Sud America non abbia mai
preso piede definitivamente. «Io appartengo a una generazione che
avrebbe dovuto abbracciare la libertà - dice Álvaro -. Purtroppo non
è così. Ancora oggi, in America Latina prevale la stessa passione
dei tempi di mio padre per il socialismo e per l' utopia secondo la
quale il nostro, un tempo, era un continente paradisiaco, prima che
arrivassero gli europei». Passi avanti ci sono. In Cile. In Messico.
In Perù. «E anche nella sinistra latinoamericana è in corso una
battaglia - sostiene Álvaro -. Tra una sinistra carnivora, quella di
Chávez in Venezuela, di Evo Morales in Bolivia, di Daniel Ortega in
Nicaragua. E una vegetariana, quella di Lula in Brasile, di Michelle
Bachelet in Cile, per dire: le socialdemocrazie che accettano la
democrazia e il mercato. Ma la sinistra vegetariana, liberale, è
debole, è sostenuta dal boom economico in corso dovuto alle
esportazioni di materie prime: quando questo finirà, temo entrerà in
crisi, perché non sta facendo le riforme necessarie a cambiamenti
strutturali». Difficile dire quanto gli intellettuali sudamericani
abbiano influito su questa gracilità dell' idea di libertà. Di
certo, non hanno capito né interpretato il mondo che hanno avuto
sotto gli occhi negli scorsi cinquant' anni, dicono i Vargas Llosa.
Hanno cantato le lodi alle riforme agrarie mentre i contadini
rispondevano a esse emigrando in massa verso le città. Non hanno
visto la «ribellione capitalista» dei poveri mentre questi creavano
la loro economia di mercato, un' economia informale opposta a quella
parasocialista imposta dagli Stati e amata dagli intellettuali. Non
hanno capito i milioni di emigranti verso Nord, alla ricerca di una
vita migliore nel capitalismo: «I sudamericani negli Stati Uniti
hanno una produttività tre volte superiore a quella che hanno in Sud
America - dice Mario -. Un milione di cubani in Florida produce
dieci volte ciò che produce Cuba». Il guaio, aggiunge, «è che c' è
poi un gap tra i comportamenti capitalisti della popolazione e le
sue idee: vota al contrario di come si comporta. Non è solo
questione di ignoranza, è che l' idea che lo Stato sia garanzia di
giustizia è tanto ingiustificata, soprattutto in Sud America, quanto
profondamente radicata nella mentalità». E gli europei, molto
spesso, aiutano a mantenere questa idea di necessità dello Stato
onnipotente, semi-socialista che tenga per mano cittadini incapaci
di fare da sé. «Prendete Günter Grass - dice ancora Mario -: in
Germania era contro il socialismo ma poi è finito a volere un
modello di comunismo per Cuba. Ma per quale ragione il comunismo non
va bene per la Germania e deve invece andare bene per Cuba e l'
America Latina?». È una battaglia politica e culturale lunga ma
inevitabile, ritengono padre e figlio. Anche per rompere gli
stereotipi, tipo quello secondo il quale il problema dell' America
del Sud è che c' è un' America del Nord. In realtà, dicono i Vargas
Llosa, Washington non è più da tempo quella che appoggiava i
dittatori: «Quando Reagan arrivò - dice Álvaro - il 90 per cento dei
latinoamericani era sotto una dittatura; quando lasciò, eravamo al
dieci». Gran parte degli intellettuali del continente, però, non l'
ha notato. E vive ancora nel mondo precedente all' affair Padilla. *
* * Candidato al Nobel Mario Vargas Llosa (Arequipa, 1936), in lizza
per il Nobel, è stato anche candidato alla presidenza del Perù. Il
figlio, Álvaro, è nato nel 1966. |
|
|
|
Taino Danilo
|
|
|
|
|
| |