Sezione: varie - Pagina: 047 |
|
(13 marzo, 2007) Corriere della Sera |
|
|
INTOLLERANZE Anziché prendere le sue
difese, intellettuali come Garton Ash e Buruma attaccano la
scrittrice |
|
La Ragione tradita |
Hirsi Ali, dopo il rifiuto dell' inferno somalo l'
accusa di «fondamentalismo illuminista» |
|
|
|
Wystan Hugh Auden, di cui si è celebrato il
centenario della nascita a fine febbraio, aveva la straordinaria
capacità di evocare il senso della disperazione ispirando, al
contempo, resistenza al fatalismo. Tra le sue poesie, la più amata è
probabilmente 1° settembre 1939, da cui egli scorge l' Europa che
precipita in un baratro di tenebre. Riflettendo sulle possibili
cause all' origine di tale catastrofe per la civiltà, egli scrisse:
«L' esiliato Tucidide sapeva / Tutto ciò che un discorso possa dire
/ Sulla Democrazia, / E ciò che i dittatori fanno, / Le sciocchezze
senili che pronunciano / Davanti a un apatico sepolcro; / Analizzò
tutto nel suo libro, / La ragione messa al bando, / La sofferenza
che si fa abitudine, / Malgoverno e angoscia: / Ci è inflitto di
nuovo tutto questo». «La ragione messa al bando». È un verso
decisamente forte, e amaro. Mi è tornato alla memoria leggendo le
abiette, astiose recensioni con cui si è voluto angariare il
successo del best-seller di Ayaan Hirsi Ali Infidel (Free Press
2007), il quale ripercorre la fuga di una ragazza somala dalla
mercificazione sessuale, il suo approdo a una nuova vita in Olanda
e, da ultimo, il beffardo esilio (a seguito dell' assassinio del suo
amico Theo van Gogh) negli Usa. Due tra i più influenti osservatori
e intellettuali in Europa, Timothy Garton Ash (sulla New York Review
of Books) e Ian Buruma, hanno criticato Hirsi Ali, o chi ne prende
le difese. Il primo descrivendola come «fondamentalista dell'
Illuminismo». Nel domenicale New York Times Book Review, Buruma ha
ulteriormente attinto al linguaggio della tirannia e dell'
intolleranza, bollando il punto di vista di Hirsi Ali come
«assolutista». Ora, personalmente conosco sia Garton Ash che Buruma,
e ricordo bene come i due si divertissero - era la stagione della
Guerra Fredda - ad ascoltare quanti proponevano una fasulla
«equivalenza morale» tra il blocco sovietico e quello americano. E
buona parte delle loro critiche prendeva di mira proprio il
linguaggio. Buruma fu a dire poco caustico con quei tedeschi
sinistroidi che additavano il «terrorismo a danno dei consumatori»
della Repubblica federale. Di esempi, in tal senso, ce ne sono per
tutti i gusti. I più paradossali, però, erano (e, riflettendoci su,
sono tuttora) quelli per cui, da un' analisi del sistema carcerario
Usa, si teorizzava un parallelismo tra quest' ultimo e i gulag. Nel
suo libro, Ayaan Hirsi Ali sostiene quanto segue: «Ho lasciato il
mondo della fede, delle mutilazioni genitali e del matrimonio
forzato per quello della ragione e dell' emancipazione sessuale.
Ora, dopo avere compiuto questo viaggio, so che uno di questi due
mondi è semplicemente migliore rispetto all' altro. Non per i suoi
frivoli gingilli, ma per i valori fondamentali». Ecco le citazioni
che rendono quantomeno giustizia a Hirsi Ali. Che scaglia le sue
critiche contro l' Occidente, ma preferisce quest' ultimo a una
società in cui la donna è asservita, la censura dilaga e viene
ufficialmente predicata la violenza contro i miscredenti. Da vittima
- e reduce - di questo sistema nella sua patria africana, Hirsi Ali
sente di avere acquisito il diritto a dire tutto ciò. Che cosa c' è
di «fondamentalista»? L' edizione datata 26 febbraio della rivista
americana Newsweek riprende il discorso proprio da dove Garton Ash e
Buruma lo hanno lasciato. E rimarca, in un articolo di Lorraine Ali,
che è «ironico come questa sedicente "infedele" spesso appaia recisa
e reazionaria almeno quanto i fanatici che tanto strenuamente ha
osteggiato». Ebbene, sfido l' autrice dell' articolo a fornirci la
sua definizione di «ironia», e a produrre anche solo una
dichiarazione di Hirsi Ali che si avvicini alla concretizzazione di
tale rivendicazione. Completa l' articolo di Newsweek un
tradizionalmente superficiale botta e risposta intitolato, si stenta
a crederci, «Vita di un dinamitardo». Soggetto di quest' assurdo
titolo è una donna che ha subito minacce di violenza rivoltante, da
parte di quella tipologia di musulmani che spazia dai moderati agli
estremisti, sin da bambina. Che, più di recente, ha ineluttabilmente
visto un amico olandese morire sgozzato per strada, ricevuto l'
avvertimento che la prossima vittima sarebbe stata lei e, infine,
traslocato a Washington, dove è costretta a vivere sotto scorta. E
che non ha mai usato né incoraggiato la violenza. Eppure, a chi
allude Newsweek quando parla di «dinamitardo»? Gira e rigira, il
principio di parallelismi tanto fasulli è sempre lo stesso. Si
inizia con la sdegnosa, ingannevole incapacità di ravvisare alcuna
differenza tra vittima e aggressore, e si finisce con l' asserire
che, a incitare la violenza, è «in realtà» la sua stessa vittima. Un
tempo, Garton Ash e Buruma avrebbero avuto buon gioco nel liquidare
gli apologeti che avessero accusato i detrattori dell' Urss o della
Repubblica popolare cinese di «infiammare la Guerra Fredda» perché
non disposti a scendere a compromessi sui diritti umani. Perché,
allora, chiudono un occhio con l' Islam, che è ideologia della
violenza insurrezionale e, al contempo, di certe inflessibili
dittature? È perché l' Islam è una «fede»? O perché è la fede -
almeno in Europa - di alcune minoranze etniche? In nessun caso,
tuttavia, si potrebbe giustificare una protezione speciale dalle
critiche. La religione avanza enormi pretese, compresa quella dell'
autorità temporale sul cittadino, che non possono evidentemente
sottrarsi a una minuziosa analisi. Senza contare il fatto che, all'
interno di queste «minoranze», esistono altri gruppi minoritari
smaniosi di affrancarsi dai boss del rispettivo ghetto. (Tale era,
tra l' altro, la posizione degli ebrei olandesi al tempo di
Spinoza). La questione è molto complessa e richiede, a chi desidera
affrontarla, un' abbondante dose di abilità e ingegno. Le
ultrasemplificazioni patetiche che tratteggiano scetticismo,
agnosticismo e ateismo come posizioni ugualmente «fondamentaliste»
non risultano, nel nostro caso, di alcuna utilità. È anche
interessante notare il meccanismo che si innesca nel momento in cui
Newsweek raccoglie il grido di battaglia: il nemico del
fondamentalismo viene presentato come un personaggio-limite mentre,
prima ancora che si palesi l' inganno, il querulo, sventurato
musulmano è assurto a incontrastato dozzinante della terra di mezzo.
Ma si potrebbe citare un altro esempio di deriva linguistica. Nei
circoli dell' American Civil Liberties Union, ci attribuiamo spesso
il reciproco appellativo di «assolutisti del Primo emendamento»,
intendendo in tal modo, con effetti piuttosto ironici, che
preferiamo interpretare le parole dei Padri fondatori, se spinti a
farlo, alla lettera. E il loro significato letterale, in questo
caso, (ci) pare racchiuda l' idea che il Congresso non possa bandire
alcuna opinione né istituire alcuna religione di Stato. In altre
parole, difendiamo tutte le possibili manifestazioni dell' opinione
di un individuo, comprese quelle che consideriamo riprovevoli, ed è
nostra convinzione che nessuno possa essere costretto a praticare o
a rinnegare una qualsiasi fede religiosa. Forse, tra me e me, direi
che si tratta di un principio fin troppo rigido; di più: un dogma.
Ma chi avrebbe il coraggio di sostenere che esso equivalga all' idea
per cui le critiche alla religione vanno censurate, o alla
convinzione secondo cui il credo religioso è qualcosa da imporre al
prossimo? Indulgere a tali equazioni significa capitolare dinanzi ai
demagoghi e rassegnarsi ad ascoltare, velato dalle loro grida di
trionfo, il cupo lamento contro la trahison des clercs e la «ragione
messa al bando». Forse, però, avessi dichiarato che i miei principi
derivavano da un' ineluttabile rivelazione divina, e mi fossi detto
pronto a dare fortuito sfogo alla mia violenza per garantire loro il
«rispetto» dovuto, avrei potuto sperare in un parterre di
intellettuali almeno in parte più solidale. (Traduzione di Enrico
Del Sero) © 2007 Christopher Hitchens Distributed by New York Times
Syndicate * * * IL LIBRO Il bestseller di Ayaan Hirsi Ali «Infidel»
uscirà in Italia da Rizzoli con il titolo «Ribelle». Il libro
ripercorre la vicenda personale della Hirsi Ali fino al l' esilio
negli Stati Uniti * * * IL SITO Il sito tedesco «signandsight.com»
ha dato grande spazio al dibattito su Ayaan Hirsi Ali. Lo stesso
Pascal Bruckner è intervenuto direttamente sul sito, nella sezione
denominata «The multicultural issue» * * * Il regista Condannato a
morte per un film Il regista olandese Theo van Gogh venne
assassinato ad Amsterdam dal fanatico jihadista marocchino Mohammed
Bouyen il 2 novembre del 2004. Il cineasta, che aveva 47 anni, venne
condannato a morte per il cortometraggio «Submission» (sceneggiato
con Ayaan Hirsi Ali) sulla condizione delle donne islamiche,
ritenuto particolarmente offensivo dai credenti musulmani * * * Il
caso Un dibattito ancora aperto L' intervento di Christopher
Hitchens che pubblichiamo oggi continua il dibattito aperto sul
«Corriere» dello scorso 31 gennaio dall' intervento di Ian Buruma.
All' intervento di Buruma era poi seguito l' articolo di Stefano
Montefiori (pubblicato sul Corriere del 3 febbraio) che riportava le
posizioni sul «caso Hirsi Ali» di Ian Buruma, Timothy Garton Ash e
Pascal Bruckner |
|
|
|
Hitchens Christopher
|
|
|
|
|
|
|