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(2 febbraio, 2007) Corriere della Sera
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La gaffe di Chirac sull' atomica
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L' EUROPA INDIFFERENTE |
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In un' intervista al New York Times, l'
Herald Tribune e il Nouvel Observateur, il presidente francese dice
che se l' Iran si dotasse dell' arma nucleare non sarebbe un gran
pericolo. Quindi, prevede che, se l' Iran lanciasse su Israele una
bomba, il solo risultato sarebbe una reazione israeliana che ne
distruggerebbe la capitale, Teheran. Poi, però, Jacques Chirac si
accorge di averla detta grossa, riconvoca i giornalisti e confessa
di aver creduto di parlare off the record, «non ufficialmente», e di
aver capito troppo tardi che, invece, stava parlando on the record,
«ufficialmente», finendo col contraddire quanto egli stesso aveva
ripetutamente affermato in passato. Peggio il rappezzo del buco. I
tre giornali pubblicano sia la prima sia la seconda versione e ne
fanno, giustamente, un caso internazionale. Poiché si dice che il
solo momento in cui un uomo politico è sincero sia quando commette
una gaffe, quella del presidente francese, ancorché formalmente
grave sotto il profilo del galateo diplomatico, ha, se non altro, il
pregio sostanziale della sincerità. Che piaccia o no, quello è
davvero ciò che non solo la Francia, ma l' Europa danno l'
impressione di pensare della corsa iraniana all' arma nucleare e,
quel che è peggio, delle intenzioni che la sottendono: pervenire
alla distruzione di Israele. Concorrono a spiegare l' indifferenza
di Chirac, per ciò che significherebbe lo scenario da lui stesso
illustrato, gli storici interessi geopolitici e geostrategici della
Francia nell' area mediorientale, l' aiuto tecnologico che essa si
dice fornisca all' Iran, probabilmente con la Germania e la Russia,
nella costruzione della bomba, la prospettiva che il fattore
energetico - la crescente esigenza di contare sugli
approvvigionamenti di petrolio iraniano - stia diventando il
problema più acuto di questo secolo col quale si è aperto il nuovo
millennio. Trovano, così, conferma le preoccupazioni degli Stati
Uniti e si giustificano le loro pressioni affinché l' Unione
europea, finora recalcitrante, imponga all' Iran le sanzioni
previste dall' Onu e riduca considerevolmente i suoi rapporti
economici e commerciali con Teheran. Poiché, inoltre, l' Italia,
secondo gli americani, sarebbe, fra quelli dell' Ue, il Paese più
attivo in affari con le compagnie iraniane «coinvolte nel terrorismo
e nel riarmo», la gaffe di Chirac solleva una serie di interrogativi
che giriamo formalmente al nostro ministro degli Esteri, onorevole
Massimo D' Alema. Che cosa egli pensi di un Paese membro delle
Nazioni Unite (l' Iran) che minaccia di distruzione un altro Paese
membro (Israele); se e come l' Italia, tanto attenta alla diplomazia
multilaterale, voglia far sentire nelle sedi multilaterali per
eccellenza (le Nazioni Unite e l' Unione europea) la propria voce,
che non sia il solito generico appello al «dialogo» fra le parti, di
fronte alle ripetute minacce del presidente iraniano Ahmadinejad;
come il nostro Paese possa e voglia concorrere, in concreto e in
sintonia con i suoi alleati europei e gli Stati Uniti, a scongiurare
la prospettiva di una guerra nucleare fra Iran e Israele; che cosa,
infine, il governo cui egli appartiene intenda fare, sul piano
interno e bilaterale, per evitare che i crediti alle nostre
legittime esportazioni verso l' Iran si trasformino, di fatto e per
quanto indirettamente, in un' occasione di «affari illeciti» - come
denuncia Washington - che comporterebbe una grave responsabilità
politica e morale da parte nostra. Una risposta chiara e definitiva
sarebbe utile e gradita. postellino@corriere.it |
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Ostellino Piero
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